Tagliatelle al prezzemolo

Metti un pomeriggio uggioso di pioggia primaverile. Metti di avere un buon mattarello che ti guarda sconsolato  ormai da troppo tempo. Ecco, trovato, posso fare delle tagliatelle! Ma spesse, leggermente ruvide, rustiche come quelle che facevano le nonne nelle grandi cucine; e i bambini a guardarle.
Non ho mai visto mia nonna fare le tagliatelle, peccato,  ma se le avesse fatte le avrebbe fatte così: con il prezzemolo verdissimo che nel suo orto non mancava mai. Per fare questa pasta non ho usato uovo ma un filo d’olio e, segreto, l’acqua per l’impasto ben calda, così che l’amido della semola fa da buon collante. Pensando alle nonne, quelle di una volta,  che non avevano impastatrice o robot, che impastavano e tiravano e formavano la pasta a mano, è inevitabile per me provare un moto di ammirazione.  Fare la pasta in casa non è cosa da poco ed è piuttosto faticoso. Tuttavia rilassa e porta molta, molta soddisfazione.

Per 4 persone

20 g di foglie di prezzemolo, 350 g di semola di grano duro, 150 g di acqua di cottura, 1 cucchiaio di olio di oliva o di semi.

Lessate il prezzemolo in acqua salata bollente per 2 minuti. Scolate, conservate l’acqua di cottura e raffreddatelo sotto l’acqua. Frullate con un po’ di ghiaccio per ottenerne un succo. Fate la fontana con la semola, aggiungete il succo del prezzemolo, l’olio e di seguito l’acqua di cottura ben calda. Impastate fino a che l’impasto non risulterà liscio, chiudetelo molto bene con pellicola alimentare e mettete in frigo per il riposo di almeno 2 ore. Tirate la sfoglia a mano o con la trafila e fatela asciugare per almeno 30 minuti; poi formate le tagliatelle. La scelta tra il modo antico o la modernità è assolutamente libera.  In  entrambi i casi  vi consiglio però,  prima e dopo aver formato le tagliatelle, di far asciugare bene la sfoglia: sarà più pratico conservarle senza che si attacchino tra di loro. Cuociono in 6/7 minuti e si conservano per molto tempo, ben coperte.

Non mi resta che augurare una felice giornata a tutti.

 

 

 

Traditionally correct

Gli strascinati con le cime di rapa

Questo piatto è una meraviglia di bontà, perfettamente in linea con la tradizione e con la stagione.  Un grande, grandissimo primo piatto di una ricca tradizione culinaria, quella del Sud Italia, ideale per questa stagione in cui i cavoli, tutti i cavoli, sono, posso dirlo, in saldo.  Le cime di rapa sono un simil-cavolo che del cavolo è parente stretto perché appartiene alla stessa famiglia, quella delle crocifere nella sua varietà brassica, come chiaramente definito dal suo nome scientifico: brassica rapa, nonché esculenta, cioè commestibile.  Della famiglia presenta più o meno gli stessi caratteri tipici; ma se vedessimo la cima di rapa passeggiare con un cavolfiore, non potremmo notarne la parentela, anzi li potremmo scambiare per dei fidanzati…mentre se fosse in compagnia di un cavolo nero diremmo che sono fratelli. Come sono imprevedibili le familiarità.

Per 4 persone

Per gli strascinati:

300 g di farina di semola rimacinata, quella che si usa per fare la pasta

Acqua, quanto basta

In una ciotola facciamo la fontana con la farina e iniziamo a inserire l’acqua mescolando prima con una forchetta, poi quando vediamo che l’impasto inizia ad amalgamarsi lo vuotiamo sul piano di lavoro.  Iniziamo ad impastare e aggiungiamo dell’altra acqua.  La consistenza dovrà essere tale da permetterci di impastare senza fatica; in genere l’acqua è metà rispetto al quantitativo di farina.  Impastiamo molto a lungo per avere un insieme liscio e setoso al tatto, poi lasciamo l’impasto a riposare per almeno mezz’ora, coperto.  Dopo il riposo, lo dividiamo in pezzi dai quali ricaveremo dei cordoncini, più o meno lunghi.  Misuriamoli con i nostri polpastrelli: si possono fare con un dito, due dita o tre dita.  A questo punto trascineremo ogni cordoncino con la punta delle dita, e più sottile sarà meglio sarà.  Man mano che sono pronti li mettiamo in un vassoio infarinato.  Si conservano per molto tempo se li facciamo seccare all’aria e poi li conserviamo in un sacchetto. Non è facilissimo farli, anche se è un semplice gesto.  Si tratta però di uno tra i tanti gesti della cucina di tradizione, spesso insegnati e tramandati.   Io non ho avuto questa possibilità, peccato.  Ai più fortunati, che hanno “strascinato” con nonne, zie, sorelle, dedico tutto il mio impegno nel fare questi masterworks, che ricordano degli “orsetti piedirosa” o non so cos’altro (dovrebbero ricordare dei baccelli). La mia e la vostra consolazione è che si possono acquistare già pronti.

crudi

Per il sugo:

600 g di cime di rapa

2 spicchi di aglio

1 peperoncino piccante

Olio di oliva 6 cucchiai

4 filetti di acciuga sott’olio

Pecorino, a piacere

Puliamo le cime di rapa staccando le foglie dai gambi e tagliando le influorescenze.  Le sciacquiamo con cura e le sbollentiamo per 5 minuti in acqua salata.  Scoliamo e passiamo sotto l’acqua fredda, affinchè mantengano un bel colore brillante.  Conserviamo l’acqua di cottura.  Al momento di prepare la pasta, rimettiamo l’acqua di cottura a bollore e prepariamo un soffritto con l’olio l’aglio schiacciato e il peperoncino.  Quando è ben caldo vi stemperiamo i filetti di acciuga schiacciandoli con i rebbi di una forchetta e uniamo le cime di rapa sbollentate che avremo tagliato leggermente.  Cuociamo per qualche minuto per lasciare che le verdure prendano sapore, regoliamo di sale.  Quando la pasta è cotta la scoliamo con una schiumarola direttamente nel sugo e spadelliamo.  Spolveriamo con il pecorino e serviamo immediatamente.

strascinati

Buona settimana!