Il dolce di Pasqua: cassatina

E’ raro trovarla nelle pasticcerie della mia provincia a meno che il pasticcere non abbia origini sicule. Molto facile invece assaggiarla da me che non vanto origini sicule ma sono innamorata dei dolci con la ricotta. La cassata, in questo caso cassatina, non è un dolce difficile da fare ma è una somma di varie fasi. Se da una parte questa preparazione costruita può mandarci in lieve confusione dall’altra ci permette di gestire i tempi.
Se il pasticcere siculo dovesse leggere la mia ricetta ne sarebbe facilmente contrariato. Ed io non posso che chiedergli venia, perché io non sono sicula e nemmeno pasticcera ma son convinta che “Tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri Pasqua“. Ho già pubblicato una ricetta della cassata siciliana, cercando di avvicinarmi il più possibile all’originale, quindi il pasticcere può leggere quell’altra. Dubito comunque della sua completa soddisfazione. A rigore della logica gli devo precisare che qui, nei dintorni, mancano alcuni ingredienti fondamentali e che di necessità ho fatto virtù. D’altra parte nulla è scritto nella pietra, soprattutto le ricette di cucina. Buona preparazione.

cassataPer 12 cassatine

Si usano: ciotole, spatola, stampi usa e getta in alluminio monoporzione, matterello, cucchiai, pellicola, teglie, coppapasta cm 8 e cm 5, sac a poche e bocchetta liscia o cucchiai

Pan di Spagna 3 uova, 1 pizzico di sale, 135 g di zucchero, 135 g di farina.

Montate le uova con il sale e lo zucchero fino a triplicarne il volume. Setacciate la farina e unitela al com posto di uova e zucchero molto lentamente per non smontarlo. Imburrate leggermente la teglia rettangolare e rivestitela con carta da forno. Versate l’impasto e livellate. Cuocete a 180°C in forno statico con placca a metà per  20 minuti. Raffreddate.

Farcitura 500 g di ricotta vaccina ben asciutta*, 200 g di mascarpone, 150 g di zucchero semolato, 150 g di cioccolato fondente tritato

In una ciotola mescolate la ricotta lo zucchero e il mascarpone. Unire il cioccolato tritato e tenere da parte in frigorifero coperto fino al momento dell’uso.

*Il mio consiglio è di mettere la ricotta all’interno di un colino nel quale avremo sistemato sul fondo della carta da cucina e lasciarla ad asciugare in frigo coperta per almeno un giorno.

Finitura e decorazione : Bagna al Grand Marnier o Maraschino: miscelate 100 g di sciroppo di zucchero di canna(in vendita nei supermercati)  e 3 cucchiai del liquore prescelto.

300 g di marzapane pronto

Colorante verde in gel Zucchero a velo

Glassa: con il frustino elettrico montate fino a sbiancarli 35 g di albume. Unite poco per volta sempre montando 150 g di zucchero a velo e un cucchiaino di succo di limone filtrato.

Ciliegie candite o canditi a piacere

Montaggio delle cassatine Rivestite gli stampini usa e getta con pellicola trasparente. Coppate il pan di spagna con il coppapasta grande e con il coppapasta piccolo. Inserite sul fondo il coppapasta piccolo e bagnatelo con lo sciroppo al liquore. Sistemate all’interno dello stampino la farcitura aiutandovi con la sac a poche o con due cucchiai. Appoggiate infine il disco grande che avrete bagnato con lo sciroppo al liquore. Mettete le cassatine nel congelatore per almeno 4 ore. Setacciate un leggero strato di zucchero a velo sul piano li lavoro e lavorate il marzapane cui avrete appoggiato delle gocce di colorante verde. Dosatelo, non tutti i coloranti in commercio hanno lo stesso potere colorante. Quindi non posso darvi l’esatta quantità. Inoltre se volete lasciarlo al naturale, potete farlo, anzi, bianco e beige sono molto eleganti. Dopo aver colorato il marzapane, stendetelo a 3 mm almeno di altezza e formate delle strisce alte quanto il lato del dolcetto e lunghe quanto la sua circonferenza. Estraete le cassatine gelate dallo stampo e rivestite il bordo con la striscia. Ripetete l’operazione per tutte le cassate. Alla fine con l’aiuto di un cucchiaino cospargete  le cime con la glassa. Adagiate al centro mezza ciliegia candita o altri canditi a piacere. Riponete in frigorifero fino a 30 minuti prima di servirle.

Colgo l’occasione per augurare a voi e ai vostri cari una Pasqua serena.

 

 

 

 

Il biscotto mimosa

Ci sono luoghi nel mondo, nemmeno tanto nascosti nei quali non avrei voluto nascere donna. Luoghi dove le guerre, mai violente, delle donne devono purtroppo ancora iniziare. E ci sono luoghi dove le battaglie non sono mai vinte; dove nascere donna, nonostante tutto, fa paura. L’8 Marzo non è un giorno come tutti gli altri, è un giorno per pensare. Buona festa della donna.

biscotto mimosa

Per 20 biscotti

Ingredienti per la pasta frolla: 125 g di burro, una presa di sale, aromi a piacere (buccia di limone, buccia di arancia grattugiate, vaniglia), 190 g di farina + 30 g, 60 g di zucchero a velo, 1 uovo medio, 30 g di farina di mandorle.

Sciogliere il burro nel microonde (media potenza per 20 secondi), con il cucchiaio di legno riducetelo a pomata. Unite il sale e gli aromi, l’uovo , lo zucchero, la farina di mandorle e 60 g di farina. Mescolate fino a rendere uniforme e inserite la farina rimanente. Impastate quel tanto che basta ad amalgamare l’impasto. Copritelo con pellicola e mettetelo in frigorifero per un minimo di 2 ore (meglio se tutta la notte). Trascorso il tempo stendete l’impasto ad un altezza di 3 mm e ritagliate i biscotti della forma che più vi piace. Deponeteli su una teglia leggermente imburrata o rivestita con carta forno e cuoceteli a 180°C in forno statico placca a metà e portello in fessura per 15 minuti.

Ingredienti  per la crema chantilly: 250 g di crema pasticcera, 250 g di panna montata

Montate la panna e aggiungete la crema pasticciera (raffreddata) poco per volta con l’aiuto di una spatola. Dividetela in due sac a poche con bocchette tonde di diversa grandezza (se non avete la sac a poche distribuite la crema con un cucchiaio).

Per completare: pasta di mandorle, coloranti verde e giallo, un pezzetto di rete da patata, un coltellino tagliente o un bisturi, briciole di pan di spagna (si può usare un avanzo di pan di spagna oppure una piccola brioche tipo plum cake), zucchero a velo

Lavorare il marzapane(pasta di mandorle) e usando guanti di vinile unite i coloranti. Con il giallo fate piccole palle e pressatele sulla rete da patata. Con il verde tagliate delle foglie lanceolate e segnatele leggermente con il coltello.

Per formare il dolcetto: distribuite la crema chantilly sui biscotti, sbriciolate sopra  il pan di spagna e spolverate con zucchero a velo. Adagiate su ogni biscotto le mimose e le foglie.

La via più breve

Un biscotto che diventa una piccola torta mimosa è una graziosa idea. Suggerisco di farne un bel po’ per festeggiare nel nostro giorno tutte le donne della famiglia. E anche gli uomini, a patto che ci regalino le mimose. Nel linguaggio segreto dei fiori la mimosa è il simbolo della sensibilità, dote preziosa e particolarmente femminile.
Questo biscotto può essere eseguito partendo da prodotti pronti: frollino, crema pasticciera pronta, confettini gialli. In questo caso dovrete solo montare la panna. 

 

 

 

Nei panni di una nonna

battenberg intero

Non si tratta di mettersi nei panni di una nonna qualunque, ma di una tra le nonne più importanti della storia: la regina Vittoria d’Inghilterra. Le nonne, quando si tratta dei nipoti, sono tutte uguali e la regina non costituisce di certo un’eccezione. Infatti avrebbe voluto per la nipote prediletta Vittoria un partito da fare invidia al mondo intero, comprese le sue colonie e non era soddisfatta che la sua Vitti andasse in sposa al principe Luigi Battenberg di Assia, poiché questi non avrebbe avuto un futuro da regnante. Tuttavia appena vide questo giovane non poté fare a meno di notarne la prestanza fisica e apprezzarne i modi gentili, compiacendosi del buon gusto della ragazza. Così come sempre va a finire anche nonna Vittoria, come tutte le nonne, battagliò un po’ ma poi si arrese alla tenerezza.
Dunque, di lì a poco, si sarebbero sposati quei ragazzi: volente lei o nolente lei e bisognava organizzare un gran matrimonio. Tra un affare di stato e un altro c’era da pensare ai regali, anche. Con le ragazze di solito si fa prima: un bel gioiello, un bel castello, ma per lo sposo?
Optò per un buon cavalierato, titolo ambito e, dato che l’ordine della Giarrettiera avrebbe dato forse luogo ad incaute illazioni, si decise per quello ben più tranquillo del Bagno. Inoltre, il ragazzo, aveva spalle possenti da gran rematore: sì, vedeva per lui un futuro in marina. Regali a posto, ora veniva la parte più intrigante relativa a tutti i pranzi i tè delle cinque e via dicendo. Chiamò a raccolta i cuochi, i pasticceri e li istruì a dovere. Al pasticciere commissionò una torta che non fosse possibilmente rotonda ma che quadrasse o almeno “rettangolasse”, che avesse i colori dello stemma d’Assia e che fosse buonissima. E il pasticcere di corte fece un gran lavoro.
Alla fine il matrimonio fu regale, come c’era da aspettarsi: la regina Vittoria ne fu compiaciuta. E i genitori?…mah…a loro toccava il merito o il demerito di aver mandato la piccola Vittoria in Germania per migliorare il suo tedesco, senza pensare alle conseguenze – anche se in fine s’era rilassata, ancora le girava il tarlo del possibile miglior partito.
Per capirla, una nonna, bisogna comunque mettersi nei suoi panni.

La torta di Battenberg o Battenburg

Ingredienti per una torta  lunga 18 cm , alta 6 cm e larga 10 cm :120 g di margarina morbida, 120 g di zucchero semolato, 2 uova leggermente battute, gocce di vaniglia in estratto o vaniglina (1 bustina), 120 g di farina di mandorle, 120 g di farina auto-lievitante, 25 g di cacao in polvere,1/2 bicchiere di latte, 1 buona presa di sale, 1 barattolo di crema di nocciole (nutella o similari), zucchero a velo, 300 g di marzapane, gelatina di albicocche ( o marmellata fatta scaldare e passata al setaccio)

Occorrenti: 2 stampi da plum cake (anche usa e getta), carta da forno, coltello, pennello da cucina, spatola, frustino elettrico o impastatrice, ciotole, mattarello
Preriscaldate il forno a 180°C, in modalità statica. Imburrate leggermente gli stampi da plum cake e rivestite il fondo e i lati con la carta da forno.
Montate la margarina con lo zucchero il sale e la vaniglia e incorporate le uova e la farina di mandorle. Pesate il composto, suddividetelo in 2 parti uguali e versartelo in 2 ciotole. Unite alla prima ciotola metà della farina, la buccia d’arancia e il succo d’arancia, mescolando a mano. Nella seconda ciotola unite la farina rimanente, il cacao e il latte.   Riempire gli stampi con i due composti e livellare con un cucchiaio leggermente bagnato. Infornare per 15 minuti a 180°C e poi abbassare a 160°C e cuocere per altri 25/30  minuti. Una volta cotte, lasciate raffreddare le torte e sformatele su un piano. Tagliatele a metà. Con la crema di nocciole unite le due torte alternando i colori: bianco sopra nero, nero sopra bianco. Chiudere in pellicola e mettere a compattare in frigorifero per almeno 2 ore. Preparate su un piano leggermente infarinato con dello zucchero a velo setacciato il marzapane steso ad un altezza di almeno 3 mm. ed ampio tanto da avvolgere completamente la torta. Segnate lievemente sul marzapane una croce che vi aiuti a posizionarla. rifilate la torta dandole la misura definitiva e appoggiatela sul marzapane. Pennellate ogni lato con gelatina di albicocche per fissare bene la copertura. Lasciate raffreddare la torta in frigorifero e poi decorate a piacere con altro marzapane o cioccolato.

 

Allegoria a parte, la storia di questo dolce non è leggenda. Luigi Battenberg d’Assia e Vittoria si sposarono nel 1878 e questo fu il loro dolce celebrativo. La versione originale cita nove riquadri nello schema della torta che era bianca e rossa (lo stemma d’Assia comprende visibilmente questi due colori)e veniva assemblata con marmellata al posto della cioccolata. La mia, quindi, ne è una libera versione.

Buon fine settimana!

battenberg tagliato

Le pesche a Febbraio

pesche a febbraio

Quando ormai non ci speravano più, accadde il miracolo. Forse in una sera come tante, prima di addormentarsi e di girarsi ognuno sul proprio fianco.
La gioia di quella gravidanza fuori tempo cresceva in lui, futuro padre attempato, di pari passo con le complicanze di un prevedibile e non singolare problema: le voglie di sua moglie. In quel Febbraio, che più freddo non s’era mai sentito e al limitare della notte, accusò un’improvvisa quanto “squinternata” voglia di pesche.
Bella donna la Marchesa, nobile di cuore e fantasiosa anche nel lanciare i desideri tipici di tutte le future madri, così come lo era in ogni sua espressione. Tant’è che, per questa sua spiccata fantasia, il Marchese  si era ritrovato a dover correre sul greto del fiume, a notte fatta, per pescare piccoli gamberi; dallo speziale, nel tempo del pranzo, a recuperare caramelle d’orzo; a dover incaricare i migliori pescatori delle onde di lago affinché gli trovassero un’anguilla.
“Le voglie marcano” si ripeteva e aspettava, cercando di mantenere inalterata la sua gioia, il momento – prima o poi sarebbe arrivato – della fine delle “voglie gravidiche”. Così le aveva chiamate la levatrice. Che altro poteva fare, lui, se non accontentare sua moglie, sperando di non esaurire la sua amorevole pazienza prima che quel figliolo – o quella figliola – andasse camminando all’indietro come un gambero o avesse la pelle dell’anguilla per una sua, se pur comprensibile, inadempienza.
Non ne parlava, con nessuno, ma si sentiva ormai prossimo al colmo. Oltremodo preoccupato e sempre all’erta. Al punto che, quando la poverina di notte si svegliava all’improvviso, anch’egli subitamente si sentiva percorrere da una frenesia tale da fargli scorrere saliva, quasi che la voglia prendesse anche lui.
Ora era la volta delle pesche. Le pesche in Febbraio. Se solo fosse stata stagione, con tutti i frutteti del Marchesato, ci sarebbero state pesche da sfamare il mondo intero. Ma in Febbraio! In Febbraio! Si mise la mano sulla fronte, sconsolato e se la passò tra i suo pochi capelli.
Accadde che, faustamente, questa mano in testa gli fu davvero provvida. Si ricordò, infatti, di  una corona fatta apposta per lui e fatta di pane, talmente bella con tanto di fioroni, che ci si sarebbe potuti confondere. Non c’era tempo da perdere.  Questa era la cosa giusta da fare, alla giusta ora. Si coprì alla bell’e meglio e uscì di gran furia.
Carlin Fornaio aveva appena acceso il lume della bottega quando sentì bussare al portone: colpi così forti che parevan quasi dolorosi. Da padre di sette figli qual era ebbe di che preoccuparsi e si avviò ad aprire, pensando al peggio. A notte fonda non ci si poteva che spaventare. Aprì e indietreggiò, facendo quasi un salto, stupito e ad un tempo rincuorato: non c’era nessuno dei suoi per fortuna. Sì, ma che cosa ci faceva il Marchese, lì, a notte fonda, con il berretto da notte calato in testa e il pigiama sotto i vestiti? Se non fosse stato che doveva mostrargli il dovuto rispetto, si sarebbe messo a ridere forte. “Marchese, è successo qualcosa?”
“Niente di grave, Carlin. Ma non so che fare! Qui, questa volta si sta facendo complicata: la mia signora ha voglia di pesche…ora, in Febbraio!”.
A Carlin venne ancora più da ridere, pensando che la sua, di signora, aveva sfornato sette spettacoli senza avergli mai dato un problema, non uno, mai. Anzi lo aiutava in bottega fino all’ultimo momento rischiando di spiattellare i figlioli sul freddo e duro pavimento. A quel punto ci sarebbe stato da polemizzare fosse anche solo per riportare quel pover uomo coi piedi per terra. Ma guardando il Marchese e, potendo leggergli in faccia l’angoscia ben scritta, riuscì solo a rispondergli: “Ho capito. Tornate domani mattina, caro Marchese, in qualche modo  vi aiuterò”.
E si salutarono, guardandosi a lungo negli occhi non da nobile a popolano ma da uomo a uomo, riuscendo così a capirsi perfettamente, senza aggiungere nient’altro.
Dovete sapere che Carlin fornaio era davvero un fornaio speciale, altrimenti non sarebbero venuti in tanti e anche da molto lontano per servirsi da lui. Assai famose erano poi le sue sculture di pane.  A chi gli chiedeva il segreto della perfetta lievitazione soleva rispondere che non c’era alcun segreto. Forse era l’acqua della valle, l’aria, forse la farina, forse…forse niente. Tutto l’arcano stava nelle sue mani, grandi; mani generose sempre paonazze per il troppo lavoro.
Non era davvero il caso di perdersi in riflessioni, c’era da fare ora e  ritornò al suo bancone. Per lui riprodurre delle pesche sarebbe stato gran poco rispetto alle sue magnifiche sculture ma, per qualcuno, quelle pesche finte avrebbero rappresentato più di molto. Lavorò con zelo e precisione e per tutto quel tempo non gli riuscì proprio di non pensare a quanto fosse viziata la Marchesa; a quanto era stanco quell’uomo e, infine, a quanto spesso potevano essere smarriti coloro che possedevano in abbondanza. Finita l’opera esaminò con cura  il risultato e si compiacque del suo saper fare.
Quando al mattino, di buonora, il Marchese tornò dal fornaio, aveva gli occhi gonfi della notte insonne. “Marchese, non v’aspettavo così presto. Certo che la Marchesa è gran brava a tenervi sveglio!” disse, ma si penti subito di quello strale proprio infelice.
Cercò allora di rimediare: “Sursum corda Marchese, che il bello deve ancora arrivare. Posso ben dirlo io, che son padre di sette e ho il cuore diviso un pezzo per ognuno! Eccole qua le vostre pesche. Appena formate. Come sono?”. In un piccolo paniere consunto stavano in bella mostra le pesche di Febbraio, talmente verosimilmente belle che di nuovo si sarebbero potute confondere con quelle vere. Niente da dire: Carlin fornaio meritava di essere definito il “Michelangelo del pane”.
“Ma… Carlin, sono uno spettacolo!” e per gradire se ne mise una intera in bocca.
“U-gua-li! Non vedo l’ora che mia moglie le veda e le assaggi. Quanto ti devo, Carlin?”
“Nulla Marchese. Per me è stato un divertimento. Speriamo che la Marchesa le gradisca…ci tengo a saperlo”.
“No, Carlin. È mio dovere ricompensarvi. Prima di tutto nomino voi e vostra moglie padrini del mio erede e vi invito tutti alla festa di battesimo. Per la ricompensa farò di testa mia”. Poi, quasi disorientato, abbracciò Carlin come fosse suo fratello, pensando che avrebbe premiato non una, ma due volte tanto, quella rara quanto preziosa onestà.
Le pesche a Febbraio. E chi l’avrebbe mai detto. Certo che aveva proprio avuto una bella idea, pensò. E se andò con il paniere ben colmo sotto braccio, desiderando di arrivare al più presto dalla Marchesa per testimoniarle ancora una volta il suo amorevole zelo.
Si racconta che per il Marchese quella fu l’ultima fatica, prima di tutte le vere da novello padre e che la sua generosa ricompensa per Carlin non tardò ad arrivare. Per fortuna, perché per quella lussuosa festa di battesimo “il Michelangelo” dovette comprare vestiti e scarpe per nove persone.
La Marchesina Camilla, Cosima, Alda, Teresa,  Giuseppina di Castelduomo di Vergassoli  nacque,  per l’immensa gioia dei suoi adoranti genitori in una tiepida notte di fine Maggio, annunciata da otto colpi di cannone. Era candida come il burro e lo zucchero e rosa, come una pesca.

Ingredienti per il preimpasto: 30 g di zucchero semolato, 200 g di farina manitoba, 60 g di acqua, 50 g di uova, 20 g di lievito di birra, 30 g di burro

Impasto: 260 g di farina 0, 130 g di farina manitoba, 100 g di zucchero, 50 g di burro morbido, 180 g di uova sgusciate, 20 g di arancia candita (facoltativa), 5 g di sale

Per la crema pasticciera: 500 g di latte intero, 6 tuorli, 150 g di zucchero, 42 g di maizena, 1/2 bacello di vaniglia, scorza di un limone

Per la decorazione: alchermes zucchero semolato, foglie di menta o pasta di mandorle verde.

Per preparare il preimpasto: in una ciotola versare la farina a fontana, nel mezzo sciogliere il lievito di birra nell’acqua e poi impastare con gli altri ingredienti. Versatelo sul piano di lavoro e impastatelo a lungo fino a raenderlo liscio e abbastanza morbido. Rimettetelo nella ciotola, copritelo con pellicola e lasciatelo lievitare in luogo non freddo per 90 minuti o fino al raddoppio. Trascorso il tempo schiacciatelo e mettere al centro gli ingredienti dell’impasto. Aggiungete i canditi, se previsti e rovesciate l’impasto sul piano di lavoro. Impastate a lungo, rimettete nella ciotola e  coprite. Lasciate lievitare per circa 2 ore. Trscorso il tempo formate delle palline di circa 15/18 g l’una.
Disponetele distanziate su placche rivestite con carta da forno e lasciatele lievitare fino a triplicare il volume (circa 3 ore e mezza). Cuocete in forno preriscaldato a 175°C, in modalità statica, placca a metà.

Per preparare la crema pasticciera: portate il latte a bollore dopo aver unito la scorza del limone la vaniglia. Montare i tuorli con lo zucchero e il sale e unite sempre montando la maizena. Versate la montata di uova sul latte bollente, filtrato fuori dal fuoco e mescolate con cura. Rimettete sul fuoco e  cuocete fino ad addensare. Versate la crema su un piatto largo e coprite con pellicola a contatto.
Per assemblare: con un coltello a sega tagliate le pesche a metà e formate un incavo con il dito nella parte piatta. Allungate 3 dl di alchermes con poca acqua e immergetevi le mezze pesche, poi passatele nello zucchero semolato. Lasciatele asciugare per 30 minuti. Farcitele con crema abbondante e decoratele con la  menta fresca o foglioline di marzapane colorato. Potete fare il piucciuolo con un chiodo di garofano tagliato, o pezzettini di baccello di vaniglia.

A voi tutti auguro una giornata felice.