Tutto a rotoli

Chi è propenso a pensare che  il titolo sia  riferibile a una mia personale constatazione sulla situazione generale, si sbaglia: non sono tendenziosa e sono ottimista.
È invece la proposta culinaria per il weekend, che questo è pur sempre un blog di cucina.  Significa che arrotoliamo. Chiudendo ciò che è aperto, elevando ciò che è piatto, muovendo ciò che è fermo.
Sono molti i rotoli in cucina: salati o dolci; freddi o caldi; di carne, di pesce, di verdure e di uova. Per eseguirli bene ci vuole solo un po’ di pratica e un pizzico di “santa” pazienza. Buona esecuzione!

Arrotolato di coniglio arrosto

Il coniglio è una delle tante possibilità. Potrebbe essere sostituito da altra carne, preparato con la stessa modalità, avendo cura di adattare il tempo di cottura. Disossare il coniglio non è un problema, inoltre il macellaio può farlo per voi.

rotolo di coniglio

800 g di coniglio disossato

4 fette di prosciutto di Praga

aghi di rosmarino tagliati sottilissimi

2 uova

1 cucchiaio di grana

2 cucchiai di latte

Sale, pepe

100 g di provolone dolce, o altro formaggio a fette sottili

3 cucchiai di olio

30 g di burro

2 dl di vino bianco

2 cucchiai di marsala

1 cucchiaino da tè di succo di limone

Brodo di carne caldo

1 rametto di rosmarino

2 foglia di salvia

Prepariamo una frittatina: battiamo leggermente le uova con il grana,  il latte e il rosmarino e regoliamo di sale. In una padella scaldiamo 1 cucchiaio di olio, lo distribuiamo con l’aiuto di carta da cucina e versiamo il composto per la frittata. Lasciamo rassodare e teniamo da parte.  Prendiamo il coniglio disossato e lo battiamo per unirlo e uniformarlo tra due fogli di pellicola(controlliamo, facendo questa operazione che non siano rimaste piccole ossa). Saliamo, pepiamo e adagiamo sulla carne prima la frittata poi il prosciutto e infine le fette di formaggio. Avvolgiamo la carne farcita e la leghiamo con spago da cucina. In una padella scaldiamo 3 cucchiai di olio, il burro e rosoliamo molto bene il rotolo su tutti i lati, sfumiamo con il vino bianco e aggiungiamo il marsala e il limone.  Trasferiamo in una teglia da forno, aggiungiamo gli aromi e 1 bicchiere di brodo caldo. Cuociamo a 160 °C per 1 ora, irrorando spesso la carne con il sugo che si formerà. Una volta cotto, mettiamo il rotolo in pellicola e prepariamo il sugo. Coliamo tutto il fondo  di cottura nella teglia con un leccapentola in una piccola casseruola o una padella non bassa; aggiungiamo 1 dl di vino bianco, del brodo 1 cucchiaino di maizena sciolto in un liquido freddo. Scaldiamo fino a che non raggiungerà una densità ideale. Togliamo lo spago e tagliamo la carne (se dovesse rompersi, cerchiamo di contenerla), la adagiamo in un grande piatto e la irroriamo con il sugo caldissimo. Questo arrosto è molto buono anche freddo e tagliato sottilissimo. Possiamo accompagnarlo con misticanza, o erbe di campo ripassate.

Rotolo morbido alla panna  e ananas caramellato

I rotoli dolci sono veloci da fare e sempre gradevoli alla vista. Possono presentare molte varianti di pasta biscotto, così come di farcitura. Questa pasta biscotto è particolarmente morbida e l’ananas può essere sostituita da fragole, altra frutta fresca, o sciroppata. La panna in questo caso è vegetale e già zuccherata, nessuno ci vieta di usare panna fresca e zuccherarla a piacere durante la montatura.

rotolo davanti

Mezza ananas al naturale

3 cucchiai di zucchero semolato

4 tuorli montati con 190 g di zucchero e 1 pizzico di sale

4 albumi montati a neve

80 g di fecola

Il succo di mezzo limone spremuto e filtrato

250 g di panna vegetale zuccherata

Prepariamo la pasta biscotto: dopo aver montato i tuorli con lo zucchero e il sale con il frustino elettrico aggiungere al composto ben bianco e spumoso il succo del limone e mescolare. Tenere da parte. Montiamo gli albumi a neve. Aggiungiamo al composto di tuorli la fecola setacciata e poi l’albume, un cucchiaio alla volta, mescolando dall’alto verso il basso.  Imburriamo una teglia rettangolare di cm 35×45(va bene  anche più piccola, avrete un biscotto più alto) e la foderiamo di carta forno, anche sui lati. Versiamo l’impasto, lo livelliamo e inforniamo a 180°C per 20 minuti, placca a metà. Togliamo la teglia dal forno e la capovolgiamo su un foglio di carta forno cosparso di zucchero semolato. Arrotoliamo quindi il biscotto, dopo aver tolto il foglio di cottura. Lasciamo raffreddare.

Caramelliamo l’ananas: scaldiamo una padella antiaderente e  versiamo il primo cucchiaio di zucchero, aspettiamo che si sciolga e uniamo un altro cucchiaio, aspettiamo che si sciolga e uniamo anche l’ultimo cucchiaio. A questo punto inseriamo l’ananas e caramelliamo molto bene, poi aggiungiamo il burro e lo lasciamo sciogliere; mescoliamo per amalgamare e lasciamo da parte.

Per farcire: montiamo la panna e aggiungiamo l’ananas. Srotoliamo il biscotto, distribuiamo la farcitura livellandola e arrotoliamo. Chiudiamo il rotolo nella carta forno e lasciamo raffreddare in frigorifero.

Per servire: spolveriamo con zucchero a velo e decoriamo a piacere.

Buon fine settimana!

La Pasticciona:cucina siciliana di tradizione per Mamma, che buono!

Se avete voglia di ricordare il colore del mare con il sole a mezzogiorno, se volete sentire il profumo di una grigliata sulla spiaggia, se volete immaginarvi in una natura selvaggia e generosa, guardate cosa vi propongo oggi, perché fa proprio al caso vostro.

Le sarde a beccafico di : LA PASTICCIONA.IT

Note: “Le sarde a beccafico” sono da sempre considerate la specialità tra le più rinomate della gastronomia siciliana, un secondo piatto di gusto straordinario. I sapori che si miscelano in questo piatto lo rendono particolare.

E’ un cibo adatto a tutti, grandi e piccoli, molto genuino, poco costoso e sano. Inoltre, è anche molto semplice da realizzare. La storia delle “sarde a Beccafico” è collegata ad un uccelletto, molto simile alla capinera e dalle carni molto gustose, che abita le campagne della Sicilia, chiamato, appunto, Beccafico in quanto ghiotto di fichi. I nobili siciliani di una volta, veri intenditori di buoni cibi, erano soliti cacciare e consumare questi piccoli uccelletti farciti proprio con le loro stesse viscere, i beccafichi venivano sistemati nei piatti con le piume della coda rivolte all’insù, così da poterli afferrare e mangiucchiarli a piacimento per appagare i loro palati golosi. Il popolo, composto perlopiù da pescatori, non avendo la possibilità economica di acquistare i beccafichi, decise di rinnovare quel piatto eccezionale a modo proprio, pensando bene di utilizzare una variante meno costosa, ma ugualmente saporita: Sarde, diliscate e aperte a libro avendo l’accortezza di non togliere la coda, elemento fondamentale per l’estetica del piatto, che deve ricordare l’uccelletto di cui prende il nome, farcite con mollica di pane, un po’ di succo di limone per cercare di attenuare il forte odore caratteristico di questi pesci, i pinoli , l’uva passa e il caciocavallo , per ricostituirne almeno la sensazione. Da qui nacque questa ricetta, con ingredienti semplici e genuini. Ottimo secondo piatto per valorizzare i menù dei giorni di festa o come antipasto,“le sarde a beccafico” hanno la virtù di racchiudere tutti i sapori della cucina tipica palermitana.


Sarde a beccafico 1

Ecco gli ingredienti:

Per 4 persone: 1kg di sarde, 150g di pangrattato, 4 cucchiai di caciocavallo grattugiato (facoltativo), 2 acciughe sotto sale, 1 ciuffo di prezzemolo, 1 cucchiaio di pinoli, 2 cucchiai di passoline (uvetta), 2 limoni, zucchero, olio extravergine d’oliva, foglie di alloro sale, pepe.

Preparazione: scaldate 2 cucchiai di olio in una padella e lasciatevi dorare il pangrattato; poi, trasferitelo in una terrina (tenendone da parte 1 cucchiaio). Aggiungete l’uvetta ammollata in acqua tiepida e strizzata, i pinoli, le acciughe dissalate, diliscate e sciolte in poco olio, il prezzemolo tritato, il caciocavallo, una presa di sale e un pizzico di pepe e amalgamate con cura tutto, incorporando se necessario altro olio. Pulite le sarde ed eliminate testa e lische; lavatele, stendetele su un piano e salatele. Distribuite su ciascuna una parte del composto preparato e arrotolatele, formando degli involtini.

Sarde a beccafico 2

Disponetele,quindi, in una teglia unta, alternandole con foglie di alloro e fettine sottili di limone. Alla fine, irrorate la preparazione con un’emulsione di succo di limone e cospargete con il pangrattato rimasto e un pizzico di zucchero. Infornate a 200° per 15 minuti.

Sarde a beccafico 4

possiamo aggiungere a piacere  delle fette di cipolla

Sarde a beccafico

Sarde a beccafico

e finalmente pronte!

WWW.LAPASTICCIONA.IT l’ho seguito dai miei  “primi passi” su fb. Perchè? perchè  proponeva cucinava e fotografava tutto quello che non era di mia competenza, ma  conturbava la mia fame tranquilla. Arrivava con i suoi post-e ancora lo fa- nelle ora più impensate. Aprivo la mia pagina e… spatatam mi arrivavano le panelle. Andavo un po’ più sotto e… sboing c’era una pasta arraganata…ancora un po’ più su e… tatà! mi si paravano dinanzi i fruttini di martorana… ora, così come allora, guardare i piatti di Pasticciona mi mette un sano appetito e mi rende allegra.  Così mi sono decisa a contattarla per questa piccola collaborazione. Speravo in un sì-non lo nascondo-. Orbene, non ho fatto a tempo a chiedere che è arrivata istantaneamente la ricetta-e che ricetta..- con tanto di informazioni e notizie storiche. Pasticciona mi ha anticipato, da vera siciliana, perché a un vero siciliano non devi nemmeno chiedere: ti precede. Grazie Pasticcio’, da parte di tutti noi, e non te la prendere se ti chiamo Pasticcio’, ti stimo moltissimo.

Un pensiero: condivido il mio desiderio di andare presto in Sicilia dove non sono mai stata. Spero tanto che quest’anno possa essere il mio annus mirabilis.

Buona giornata a tutti!

La belle histoire di una scatoletta di mais

Giaceva al limite della sua scadenza nei meandri della dispensa; sostava dimenticata.
Molto aveva visto passare: aveva convissuto con giganti, condiviso la sua neutralità con l’invadenza delle sardine. Lì, davanti a lei, troneggiava l’olio, urlavano i sottaceti, sgomitava lo zucchero, pontificava il caffè.
Non sopportava questo bailamme; se ne stava rincantucciata nell’angolo in fondo, nel suo piccolo mondo fatto di ricordi, che non andavano al di là di un campo immenso e soleggiato. Ogni tanto scambiava giusto due parole con i cannellini, sussurrava alle farine, ma si esternava sempre più raramente, triste e consapevole della sua sorte: sarebbe  finita nella spazzatura. Venivano tutti prima, tutti avanti che si facevano largo. Scatolette e vetri, barattoli e tubetti, sacchetti e blister erano pronti ai loro destini di gloria. Per lei niente.
La consolava la senape di Digione, con quella sue egrre tutta arrotata,- vedgrai, avgrai anche tu  la tua bell’histoire…-, – mais oui, mon petit, bien sur!- asseriva severo il paté, che non voleva proprio adattarsi alla lingua.
Poi, in un giorno che le pareva il più lungo di tutti, avvertì come se attorno le si stesse facendo il vuoto; percepì un  alito leggero di vento improvviso che la sfiorava. Non era vento, era il tocco di una mano leggera e verde. Strano il colore di quella mano… uno scatto rapido ed era fuori, fuori anche lei.
La mano verde la girò sottosopra, poi la  riprese e la rimise a posto, ma non nello stesso. Non nell’angolo, questa volta. La sua piccola,  tondeggiante figura ora si stagliava davanti a tutto e pareva enorme. Ora, veniva perfino prima del tonno, che si vantava sempre, perché contava il numero massimo di “andirivieni”; superava di molto la maionese, che si autocelebrava da un mese, dopo quell’aragosta in bellavista.
Era arrivato. Alla fine era arrivato anche per lei il momento di una  belle histoire. E la sorpresa fu che la sua belle histoire non fu la solita di quelli del suo casato: nel freddo di un insalata o nel caldo troppo umido di una zuppa. Niente di tutto ciò.
La mano leggera le aveva riservato un posto insolito e speciale dentro una dolce ciambella.

ciambella

Ciambella al mais dolce 

120 g di farina di mais fine

120 g di farina 00

2 uova

100 g di zucchero semolato

Un pizzico di sale

2 cucchiaini di lievito

150 g di mais sgocciolato e sciacquato

3 dl di latte

1 cucchiaio di zucchero

La  buccia di mezza arancia grattugiata

60 g di gocce di cioccolato

Granella di zucchero per decorare

Mettiamo a bollire il latte con il mais, la buccia di arancia, il cucchiaio di zucchero e lasciamo cuocere per 10 minuti. Con l’aiuto del frustino elettrico montiamo le uova con i 100 g di zucchero e il sale fino a che non raddoppieranno il loro volume. Setacciamo le farine con il lievito, sciogliamo il burro a bagnomaria e li inseriamo alternativamente sempre azionando il frustino a bassa velocità nelle uova montate.  Uniamo per ultimi il mais e il latte di cottura ormai raffreddati, poi le gocce di cioccolato. Vuotiamo l’impasto in una ciambelliera del diametro di 20 cm. Distribuiamo lo zucchero granella e inforniamo a 170 ° per 40 minuti. Una volta cotta,  la lasciamo raffreddare per almeno 30 minuti prima di toglierla dallo stampo.

Mi piace infinitamente animare le cose. Mi dovete perdonare.

Buona giornata!

Le verdure parlano per noi

tarassaco

Siamo alla D, con il Dente di Leone, nome comune del tarassaco officinale,  erba perenne spontanea. E’ forse la più diffusa tra le erbe selvatiche  che si raccolgono in Primavera:  ne sono pieni i giardini,  i parchi, i prati in collina e in montagna, perfino i cigli delle strade cittadine; fa un bel fiore giallo intenso, commestibile e un’infiorescenza che i bambini amano soffiare per farla volare.  Nel mio linguaggio segreto delle verdure rappresenta, se offerto  ricevuto o cucinato, la sincerità e le sue varie accezioni, che molto ha di attinente: è scomodo da raccogliere- bisogna stare chini, usare un coltellino, cercare di recidere nel punto giusto per non strappare o non crescerebbe più- cosi come sono scomode da raccogliere le verità. A volte è prezioso a volte è buttato come le parole sincere di un amico; è spontaneo così com’è la franchezza; è forte a tutte le intemperie come l’onestà. Quindi, da tutto ciò, ben si comprende come il dente di leone non solo è un medicamento portentoso per il corpo curando fegato, reni, stomaco e ossa, ma ci darà quel piccolo, piccolissimo slancio che ci manca per dire tutta la verità, o quelle poche, pochissime gocce di sangue freddo in più per essere pronti  a sentirla. Abusiamone!

Tagliatelle di castagne al pesto di dente di leone e nocciole

tagliatelle alle castagne

Interessante, è un pesto strano che va scaldato. L’ideale sarebbe avere del tarassaco appena colto, perchè in questo caso non sarebbe necessario prelessarlo, e il pesto risulterebbe essere oltremodo saporito.   La mia è una prova tramutata in ricetta Siete comunque liberi, anzi vi invito, a lavorare sulla tavolozza degli ingredienti o sulla tela d’esecuzione. Il paragone con l’arte pittorica mi viene spontaneo, abbiate pazienza. Il colore in cucina è importante e costituisce spesso un valido aiuto nella scoperta di nuovi accostamenti. Infatti mi capita che per raggiungere il cromatismo desiderato aggiungo un nuovo ingrediente,che poi risulta essere ben accostato sia dal punto di vista del colore che del gusto.

Per 4 persone

Per le tagliatelle

280 g di farina 00

120 g di farina di castagne

3 uova

Per il pesto di tarassaco

100 g di tarassaco prelessato

60 g di nocciole tostate

80 g di parmigiano grattugiato

1 spicchio di aglio schiacciato

40 g di burro

4 cucchiai di olio di oliva

Sale, pepe

Acqua di cottura q.b

Formiamo la fontana con le farine e sgusciamo  al centro le uova. Con l’aiuto di una forchetta sbattiamo leggermente le uova cercando di amalgamare più farina possibile. Iniziamo quindi ad impastare, fino a formare un impasto liscio che lasceremo riposare avvolto ben stretto con pellicola in frigorifero per almeno 30 minuti. Con il mattarello infarinato iniziamo a tirare la pasta sul piano fino a formare un rettangolo spesso circa 1 mm. Lasciamo asciugare 20 minuti. Pieghiamo la pasta avvolgendola e formando una striscia larga circa 8 mm, poi con l’aiuto di un coltello tagliamo delle strisce che apriremo e metteremo su un vassoio coperto con carta da forno cosparsa di farina. Mentre l’acqua per la pasta arriva ad ebollizione prepariamo il pesto di tarassaco. Tagliamo il tarassaco incorporando l’aglio e uniamo anche le nocciole. Scaldiamo olio e burro e rosoliamo il pesto per 2 minuti a fuoco vivace. Regoliamo di sale e pepe e teniamo da parte. In una zuppiera mettiamo il grana e versiamo acqua di cottura per formare con la forchetta una cremina. Lessiamo la pasta per circa 8 minuti, la scoliamo e la ripassiamo nel pesto, poi versiamo nella zuppiera e amalgamiamo con la crema di grana. Serviamo immediatamente.

Un appunto: il dizionario non segue un elenco riferito alle stagionalità, ma un ordine alfabetico. Spesso non mi sarà possibile, credo, reperire alcune verdure. Il caso ha voluto che avessi del dente di leone congelato.

Buona giornata!

La mela che amo di più

Tonda come una mela, liscia come una mela, dolce come una mela, profumata come una mela, succosa come una Granny smith. Mela gialla, mela rossa, mela rosa, mela variegata: mela Granny smith. Mela nuova, mela vecchia,  mela antica, mela rara, mela matura, mela acerba, mela Granny smith. Mela proibita, mela stregata, mela marcia,  mela contesa, mela caduta, mela Granny Smith…

mela granny

Mary Ann Smith è curva sotto il sole cocente di un Australia troppo selvaggia, intenta a strappare erbacce dal suo frutteto. Si passa la mano sulla fronte sudata e sposta quel ricciolo testardo che la disturba. Mette tutto nel suo grembiule a fiori.Poi butterà.
Porta ogni cosa il vento  dell’Australia, quello che non porta il vento lo portano gli uccelli dei rovi, che scendono veloci e radenti. Si sbraccia per mandarli via, poi si china , di nuovo intenta. Niente sfugge ai suoi occhi che scrutano , niente alle sue mani che strappano di scatto e gettano tra i fiori del grembiule di cotone.
Ma è tra quei fiori e tra quello che deve buttare, che scorge un piccolo frutto, su un rametto, che sta per germogliare, un piccolo frutto verde, la perfetta miniatura di una mela. Ann Smith non lascia niente al caso. Lei che conosce tutto,  non riconosce quel piccolo germoglio: sa che non è una bacca, sa che non appartiene al suo frutteto. Sa già che proverà…

Dopo una vita tutto sommato tranquilla, fatta di frutta, marito, molti figli e nipoti,  Mary Ann Smith non si sarebbe aspettata di diventare famosa, per quel caso che curò con la solita pazienza. La sua mela Granny Smith, che tradotto letteralmente significa  mela della nonna Smith, è una tra le più apprezzate e conosciute nel mondo. Un grazie a Mary Ann e a voi le mie ricette preferite, con la mela che amo di più.

  Chaussons alle mele

chaussons

Dolce parigino di indiscutibile bellezza e bontà. Il suo nome significa pantofola e in questa dolce pantofola si contendono la palma del gusto due mele: la golden e la granny. Posso dire che i sapori si compensano, ma la presenza della mela che amo di più, dona all’insieme il giusto grado di acidità.

Per circa 25 chaussons

1 tagliapasta diam 10/12 mm o una tazza

500 g di pasta di pasta sfoglia

1 uovo intero per la doratura

Per la composta di mele

750 g di mele golden

100 g di burro

100 g di zucchero semolato

Un pizzico di vaniglia in estratto liquido

5 cl di acqua

Il succo di ½ limone spremuto e filtrato

2 mele granny smith

Per lo sciroppo

5 cl di acqua

50 g di zucchero

Su un piano da lavoro infarinato poniamo la pasta sfoglia e la stendiamo ad uno spessore di circa 2 mm.. Con il taglia pasta o la tazza formiamo i cerchi, finendo tutta la pasta( si pressa sugli sfridi con il mattarello senza reimpastarla). Li disponiamo poi su un piatto e li teniamo in frigo per 1 ora. Sbucciamo le mele, le detorsoliamo e le peliamo; poi le tagliamo a fette piccole e sottili. In una casseruola sciogliamo il burro e le mele facendole leggermente scottare. Aggiungiamo lo zucchero e la vaniglia e il succo del limone. Avendo cura di non farle attaccare portiamo le mele a cottura per circa 15 minuti, fino a che non diventeranno lucide e inizieranno a disfarsi.  Togliamo dal fuoco e lasciamo raffreddare. Sbucciamo le mele granny eliminiamo il torsolo le dividiamo a spicchi, da cui ricaveremo fette molto sittili. Incorporiamo le mele granny alla composta di mele fredda. Prendiamo i cerchi di pasta, spennelliamo leggermente lungo il bordo di una sola metà di acqua, poi mettiamo al centro la composta di mele e ripieghiamo la pasta in due  pressando leggermente per saldare. Completiamo tutti gli chaussons  e li mettiamo capovolgendoli sulla teglia foderata di carta forno. Sbattiamo molto bene l’uovo e spennelliamo la parte superiore dei dolcetti. Con la punta di un coltellino sagomiamo sulla superficie una mezza foglia, senza tagliare la pasta. Lasciamo riposare in frigorifero  per  1 ora. Inforniamo  a 180°C per 30 minuti. Nel frattempo prepariamo lo sciroppo, lasciando bollire acqua e zucchero per 5 minuti.  Spennelliamo gli chaussons con lo sciroppo do averli estratti dal forno.

An All American pie

america pie

Una tra le più famose torte americane, in Italia è nota come la torta di Nonna Papera e in America è il “simbolo dolce” nazionale. Ho preso questo ricetta da: Buon Appetito America! di Laurel Evans-Guido Tommasi edit, ed è quella vera e originale. La mia Granny qui è veramente grandiosa.

Per la pasta brisèe friabile

Tutti gli ingredienti devono essere freddi, per evitare che la pasta diventi dura. Mettiamo la farina nel frigorifero e il burro nel freezer a pezzetti per 10 minuti prima di usarlo.

320 g di farina 00

Un quarto di cucchiaino di sale

Un quarto di cucchiaino di lievito per dolci

200 g di burro freddo e tagliato a pezzi piccoli

7 cucchiai di acqua freddissima

Un cucchiaio di aceto

In un robot da cucina con la lama di metallo, lavoriamo insieme brevemente la farina con il burro fino ad ottenere un impasto a briciole. Uniamo l’aceto e l’acqua e azioniamo il robot. Il composto dovrà essere friabile ma rimanere attaccato se si pizzica con le dita. Impastiamo rapidamente chiudendo l’impasto in un sacchetto di plastica fino a che non lo amalgamiamo. Lo dividiamo a metà e formiamo due palle di che appiattiremo e metteremo a riposare in frigorifero per almeno un’ora.

Per il ripieno

6 mele granny smith abbastanza grandi oppure 8 di misura media

120 g di zucchero più un cucchiaio per la copertura

un cucchiaio di succo di limone

un quarto di cucchiaino di sale

un cuccvhiaino di cannella in polvere

un quarto di cucchiaino di noce moscata

3 chiodi di garofano

Un cucchiaio e mezzo di maizena

30 g di burro

Un uovo, sbattuto leggermente con un cucchiaio di acqua

Stendiamo la pasta brisèe in un disco di 30 cm di diametro ad uno spessore di circa 3 mm.. Trasferiamo il disco in una tortiera di cm 22 di diam., lasciando un bordo di  1 cm. Copriamo con la pellicola e mettiamo in frigorifero per 30 minuti. Sbucciamo le mele, le priviamo dal torsolo e le tagliamo a fettine. Le trasferiamo in una ciotola capiente e mescoliamo con lo zucchero, il succo di limone il sale e le spezie. Lasciamo marinare, poi scoliamo raccogliendo i succhi. Li versiamo in un pentolino con il burro elasciamo bollire per 5 minuti fino a che non diventano sciropposi. Mescoliamo le mele con la maizene fino a che non sia ben amalgamata. Versiamo lo sciroppo sulle mele mescoliamo e trasferiamo il ripieno nel guscio di brisèe. Stendiamo il secondo disco di pasta brisèe e lo appoggiamo sul ripieno. Lo rifiliamo e lo premiamo sul bordo della base, poi lo ripieghiamo e lo pressiamo con i rebbi di una forchetta per chiudere. Pratichiamo 4 tagli ad angolo retto, o in alternativa tagliamo delle striscioline di impasto e le usiamo per creare dei motivi a incastro o decorazioni a piacere. Mettiamo in frigorifero per 30 minuti. Scaldiamo il forno a 200° e cuociamo sul livello 1° partendo dal basso per 55 minuti . Se si scurisce troppo rapidamente ,copriamo con un foglio di alluminio. Serviamo il dolce caldo con gelato alla vaniglia.

Buon fine settimana!

Il pane con i ciccioli, dal diario di una vera cuoca

Non è, mie cari, una nuova conoscenza. Abbiamo già avuto modo di verificare la sua maestria attraverso una focaccia della tradizione lumezzanese: la fongada di S. Bernardo. Ritorna ora con un’altra ricetta della tradizione, ma italiana in questo caso: il pane con i ciccioli. Oggi, Mamma che buono!, ospita il Blog di Nadia Gnali , raro e forse unico blog lumezzanese di cucina. Ne sono felice. Ho conosciuto Nadia poco dopo la nascita del mio blog, quando mi ha contattato per complimentarsi del libro e palesarmi il suo bel contesto culinario. E’ nato un affettuoso scambio di idee e consigli, quello che solitamente nasce tra chi condivide la stessa passione. Il Blog di Nadia Gnali è pieno di cose buone, di ricette di casa e non solo, donate con cuore generoso e provate dalle sue mani esperte.

Dice di lei-sono nata di Mercoledì, che è giorno di mercato a Piatucco-, lo dice quasi a voler sottilineare quello che poi avrebbe fatto in futuro: la brava commerciante.  Infatti ha un passato di pasticcera, ed ecco spiegato il suo “affetto” particolare per i dolci. Chi non si ricorda la sua torta delle rose, così come quella della nonna, la bignolata nel cestino di croccante o le crostate profumate? In seguito, ha la possibiltà di dimostrare le sue virtù sul campo vero della cucina: un ristorante in terra straniera, esattamente nella Repubblica Dominicana. Torna in Italia per una nostalgia feroce, e anche questo non può che renderle onore. Dal suo diario di cucina, frutto di un illustre passato e di una passione che non finisce, ci regala un’anteprima, completanente inedita,-non l’ho ancora pubblicata, è quella che facevo per miei clienti-mi ha rivelato. Grande Nadia! difficile trovare tanta spontaneità: teniamo stretti i segreti delle preparazioni  come i bambini non mollano il giocattolo…invece tu, Nadia, divulghi,  con le tue mani e con il tuo cuore.

Il pane con i ciccioli di maiale

pane con i ciccioli

1 Kg. Farina bianca 00
( se si vuole 500 g di farina manitoba e 500 gr. normale o integrale)
Acqua quanto basta
50 gr. lievito di birra
20 gr. sale fino
300 gr. zucchero semolato
200 gr. di ciccioli pre-fritti

Zucchero semolato e latte per decorare

Preparare il lievitino con 5/6 cucchiaio di farina, il lievito di birra sbriciolato e 2 bicchieri di acqua, poi lasciarlo lievitare finche non raddoppia di volume.
Quindi unire il resto della farina, lo zucchero , il sale e i ciccioli e l’acqua rimanente fino ad ottenere un impasto corposo ma malleabile(la quantità totale di acqua dovrebbe essere 500 g, usando manitoba potrebbe essere di più).
Dividere l’impasto in pezzi da 100 g l’uno, e arrotolare tra pollice e indice per dare forma rotonda e liscia. Mettere nelle teglie e lasciare lievitare coperti fino al raddoppio del volume. Prima di infornare fare il classico taglio a croce e pennellarli con un po’ di latte per lucidarli, poi spolverizzare con zucchero semolato.
Infornare a 180 per 25 minuti circa. Dopo averli tolti dal forno, raffreddarli sulla gratella.

Grazie Nadia per la tua ricetta e alla prossima.

Le lacrime che non vorrebbe

E’ la legge degli opposti, antica forse più dell’uomo. Se potessimo chiedere al clown che si trucca dietro le quinte del circo come riesce così bene a farci ridere, lui tra un tratto di matita nera e l’altro e nello stesso istante in cui  indossa il naso rosso, ci risponderebbe che dobbiamo le nostre risate alla sua profonda, immensa tristezza interiore. Molto ci rivelano le finte lacrime che si disegna.  Così pure  se, dall’alto dei miei occhiali potessi chiedere alla cipolla perché  mi fa piangere lei, nel suo candore disarmante, mi risponderebbe che non vuole le mie lacrime e che, sfogliando i suoi strati magistralmente sovrapposti, troverei tanta dolcezza da poterne sorridere.

Proseguo il mio dizionario del linguaggio segreto delle verdure, con la cipolla. Ancora la C dunque, in attesa di raccogliere il dente di leone. La cipolla, così come vi avevo già anticipato è foriera di tristezza, è il simbolo della tristezza, perché ci fa piangere. La tristezza della cipolla però mi offre l’occasione per evidenziare quanto, nel linguaggio segreto, il significato possa essere molteplice per un solo stato d’animo. La cipolla non vuole le nostre lacrime e ci invita a sfogliarla, a scoprirla, per aiutarla a rivelarci la sua vera natura.

Zuppa di cipolle gratinata

zuppa di cipolle gratinata

Per 2 persone

Recipienti da forno

250 g di cipolla dorata

1 lt di brodo di carne

1 cucchiaio raso di farina

1 cucchaino di zucchero

1 cucchiaio di brandy

1 cucchiaio di vino bianco

30 g di burro

3 cucchiai di olio di oliva

60 g di gruviera, o emmenthal, o parmigiano

Sale e pepe nero

Fettine di baguette

Puliamo le cipolle e le tagliamo a rondelle abbastanza sottili. In una padella mettiamo l’olio il burro, li scaldiamo,  aggiungiamo le cipolle , stufandole senza farle annerire. Non appena avranno un bell’aspetto lucente e dorato le sfumiamo con il vino e il brandy e aggiungiamo lo zucchero. Setacciamo sulle cipolle la farina e mescoliamo, poi iniziamo ad aggiungere il brodo un po’ per volta e portiamo le cipolle a cottura fino a che non saranno molto morbide. Regoliamo di sale e pepe.

Per gratinare: 10 minuti prima di servire, scaldiamo la zuppa di cipolle e la  mettiamo all’interno dei piccoli recipienti da forno, copriamo la superficie con  delle fettine sottili di pane baguette tostate, cospargiamo il pane con  il gruviera e aggiungiamo qualche ciuffetto di burro. Mettiamo sotto il grill del forno fino a che non si sarà formata la crosticina. Serviamo ben calda.

Focaccia alta con le cipolle

focaccia alta con le cipolle

200 g di farina di semola

100 g di farina 0

100 g di farina 00

350 g di acqua

25 g di lievito di birra fresco

60 g di strutto  o burro

10 g di sale

1 cipolla brasata

In un recipiente sciogliamo il lievito in 100 g di acqua cui avremo aggiunto lo zucchero. Mescoliamo al lievito sciolto 5 cucchiai della miscela di farine. Copriamo e lasciamo lievitare fino a che non sarà raddoppiato e non si saranno formate delle bolle. In una ciotola mettiamo il resto della farina aggiungiamo l’acqua è il composto lievitato, mescoliamo e aggiungiamo l’acqua rimanente sempre aiutandoci con la forchetta. Terminiamo con lo strutto, il burro fuso e il sale. Impastiamo ancora fino a che non sarà completamente liscio, lo copriamo e lasciamo lievitare per 2 ore coperto. Riprendiamo l’impasto lo lavoriamo ancora per 5/6 minuti e lo vuotiamo in una teglia rotonda non troppo ampia (massimo 30 cm. di diametro) leggermente unta di olio. Copriamo e lasciamo lievitare per 30 minuti. Distribuiamo la cipolla sulla superficie e inforniamo per 45 minuti, tenendo la temperatura del forno a 200° C per i primi 10 minuti e abbassandola poi a 190/180 per  terminare la cottura. Se vogliamo renderla più lucida pennelliamo la superficie con un cucchiaio di acqua e due cucchiai di olio di oliva ben emulsionati.  Facciamo raffreddare la focaccia sulla gratella del forno. Si conserva morbida per almeno due giorni, se la copriamo con pellicola per alimenti.

Le virtù della cipolla sono davvero molte. Ricordo in particolare il suo potere antiasmatico e cito in proposito un “rimedio della nonna” che mi era stato suggerito dal pediatra. Quando i bambini soffrono di tossi notturne e capita molto spesso, provate a mettere sul comodino, o in luogo più vicino possibile al  naso, una cipolla tagliata sottilissima. E’ difficile crederlo, ma la tosse cesserà quasi istantaneamente.

Felice giornata a tutti!

L’aria con la pasta attorno

Tronfia, gonfia è uno spettacolo. Immagino mentre scruto il forno, ed è sempre estasiato stupore: piccole mongolfiere. Sono in verità piccole mongolfiere, o palloncini. Immagino che possano volare da un momento all’altro da chi ho molto amato. Il miracolo? non si sgonfieranno più, nemmeno se li buchiamo. Questa, forse, è l’unica differenza tra le mongolfiere, i palloncini  e la pasta bignè: l’aria con la pasta attorno.

Il mio primo bignè ben fatto risale a circa trent’anni fa. Mi permetto una digressione , ricordando  a chi  non fosse già oltre il “mezzo del cammino”, che cos’era “ fare cucina” trent’anni fa;  in un paese piccolo, dove non c’erano tradizioni culinarie, dove non c’erano negozi di utensili e attrezzi;  le scuole di cucina erano solo per gli addetti ai lavori e non esistevano libri esplicativi,  video ricette, o tele-cuochi. Niente. Il niente. La mia passione per la cucina e, soprattutto per la pasticceria, non è stata insegnata dalla mamma, nè tramandata dalle nonne, ma è sorta per amore dell’amore che poi ho sposato. Lui era un golosone: amava particolarmente la crema pasticcera, le crostate con la crema e la frutta, i bignè appunto, e per lui ho cercato di strafare. Il “sacro fuoco”  è stato alimentato dal mio desiderio di accontentare e ad un tempo stupire colui che amavo, e sono ancora entusiasta di averlo reso orgoglioso. Mi succedeva, a volte, di provare e riprovare una preparazione come si eseguono gli esercizi in palestra: in un delirio quasi solipsistico e, fino a che non ottenevo il mio “desiderata”, non ero contenta. Ma torno alla ricetta: da allora non l’ho mai cambiata, perché prime ricette e primi amori non si scordano mai, anzi le ho sempre scritte tutte su quella che chiamo Bibbia 1, per distinguerla dalla 2 dalla tre dalla 4 e così via…

Ci sono molte ricette della pasta bignè, quella che vi trasmetto mi piace tanto e la tramando volentieri. Si può comunque stabilire la struttura del risultato finale calibrando gli ingredienti. Supposto che è fondamentale  una notevole presenza di liquidi, che andranno a formare durante la cottura il vapore acqueo, la quantità degli ingredienti può variare,  così come la tipologia: vogliamo un bignè più croccante? useremo meno burro.  Vogliamo invece un  bignè più colorato? mescoliamo all’acqua del latte; un bignè scuretto? sostituiamo parte della farina con il cacao.  Io vi invito a provare e riprovare perché è solo la tanta pratica che fa la grammatica. Non perdetevi mai d’animo e buona esecuzione!

Per la pasta

Per circa 30 bignè medi

1, 25 dl di acqua

60 g di burro

75 g di farina

Sale, la punta di un cucchiaino

2 uova

Prendiamo una casseruola antiaderente, io solitamente uso il paiolo dove cuocio la polenta, mi piace così. Mettiamo nella pentola l’acqua e il burro che avremo tagliato a pezzettini (se non lo tagliamo l’acqua bollirà prima che si sciolga il burro, invece l’ebollizione dell’acqua e lo scioglimento del burro devono essere simultanei). Togliamo la pentola e versiamo la farina in un sol colpo mescolando con una frusta, o meglio ancora con un cucchiaio di legno e  la amalgamiamo all’acqua. Rimettiamo la pentola sul fuoco e continuiamo a mescolare fino a che non vedremo che l’impasto si staccherà dalle pareti. Togliamo  dal fuoco e rovesciamo l’impasto su una superficie larga e fredda. Questo è importante perché per incorporare le uova l’impasto non deve essere superiore ai 50°C, o l’uovo cuocerà, pena una corretta elevazione del bignè in cottura. Rimettiamo l’impasto in una ciotola e dopo aver leggermente sbattuto le uova le aggiungiamo un po’ per volta;  ad ogni nuovo inserimento, il precedente deve essere già stato perfettamente incorporato. La quantità delle uova è variabile, perché dipende dal peso delle uova e dalla capacità di assorbimento dell’impasto;  se versassimo le uova tutte insieme, rischieremmo di rendere l’impasto troppo liquido. Rimane invece una costante la consistenza, che deve essere quella di una crema pasticcera densa. Dopo aver incorporato molto bene le uova, formiamo con la sac a poche o con l’aiuto di due cucchiaini dei piccoli mucchi. Non proteggiamo la placca con carta forno, questo in pasticceria è uno dei pochi casi. Inforniamo con la placca a metà in forno statico a 200°C per circa 20 minuti. Non conosco il vostro forno, e la temperatura è sempre indicativa;  se vi sembra che il bignè scurisca troppo, dopo 5 minuti abbassatela gradualmente.  Raffreddiamo e farciamo a piacere. Si conservano una volta raffreddati in un un sacchetto per alimenti per 2 giorni oppure possono esser congelati; li metteremo per 3 minuti in forno ben caldo quando vorremo usarli.

Croque en bouche

crocenbouche

È una torre caramellata di bignè, uno tra i dolci visivamente più accattivanti. I bignè posso essere farciti con creme a piacere. Io lo farcisco con semplice e freschissima panna montata zuccherata.

Bignè vuoti, circa  30

Per farcire

500 g di panna da montare

100 g di zucchero semolato

Per il caramello

1 cucchiaino di miele

100 g  di zucchero

30 g di acqua

Per caramellare:  1 forchetta o meglio una frusta piccola con la punta tagliata

Farciamo i bignè con la panna aprendoli leggermente e infilando nell’apertura la bocchetta della sac a poche; oppure li tagliamo e li apriamo delicatamente, poi inseriamo la panna che avremo montato aggiungendo lo zucchero  a metà della montatura . Mettiamo in una tegame l’acqua lo zucchero il miele(rispettando questo ordine di inserimento). Facciamo cuocere fino a che il caramello non diventa color miele( temp. 160°C). Togliamo il tegame dal fuoco e in una ciotola riempita di acqua fredda esercitiamo un veloce movimento di saliscendi, interromperemo in questo modo il proseguimento della cottura del caramello. Glassiamo con il caramello i bignè ad uno ad uno e formiamo una corona sul piatto dove li serviremo. Sovrapponiamo altri bignè  caramellati,  fino a formare una torre. Se il caramello si sarà raffreddato troppo possiamo riscaldarlo leggermente. Intingendo la forchetta nel caramello la muoviamo su è giù fino a quando non vedremo che si formano dei fili, prendiamo come punto d’appoggio la base della torre, poniamo una nocciola di caramello su uno dei bignè e iniziamo a tirare i fili girando attorno. Divertente, molto divertente. Ecco, avrete dato a tutti lo spunto per l’esercizio giornaliero della meraviglia, che è fondamentale. Le prime volte non è facilissimo, ma la vostra torre sarà comunque bellissima.  Bravi!

Paris -Brest alla crema di formaggio, frutti rossi e caramello salato

paris brest

Nacque nel 1891 per commemorare la corsa ciclistica Paris-Brest. La sua forma circolare ricorda una ruota. Quel lontano giorno l’inventore lo farcì con crema al cioccolato e, se volessi rispettare alla lettera la tradizione, dovrei fare altrettanto. Ma la pasta da bignè fa parte dei contenitori neutri che si prestano sia al dolce che al salato. In questo caso ho abbinato della frutta acidula con il formaggio e il caramello salato.

300 g di  Pasta bignè

Per farcire

200 g di formaggio morbido tipo philadelphia

100 g di panna montata

2 cucchiai di grana

Ribes e lamponi a piacere

Per il caramello salato

100 g di zucchero

30 g di acqua

1 cucchiaino di miele

sale,la punta di un cucchiaino

Si modella ad anello il Paris-Brest con la sac a poche sulle teglia del forno, avendo cura di modellare con un cordone alto circa 2 un cerchio largo circa 15 cm in totale. Allo stesso modo possiamo fare anelli più piccoli per le monoporzioni. Si cuociono poi con la stessa modalità di cottura del bignè classico. Una volta cotto e raffreddato si taglia a metà e si farcisce. Se l’avete fatto intero vi consiglio di tagliare la calotta superiore in 3 o 4 pezzi e poi appoggiarli sulla farcitura, così è ancora più elegante. Prepariamo il caramello mettendo sale e zucchero nell’acqua e procedendo come per il caramello dolce. Una volta farcito il Paris-brest facciamo colare sopra il caramello e spolverizziamo con del pepe nero o della paprika dolce, a voi la scelta.

Vorrei un po’ di sole, non è chiedere troppo, cosa ne dite?

Buon fine settimana e grazie di leggermi.

Non c’è più pane

“Disse il pollice: non c’è più pane, disse l’indice: come faremo? Rispose il medio: lo compreremo. Disse l’anulare: ne è rimasto un pezzettino! e il migliolo: datelo a me che sono il più piccino!”

Piccola filastrocca strategica per insegnare ai piccoli i nomi delle dita; quante volte l’ho ripetuta. E l’effetto era: prima di stupore, poi di attenzione, poi seguivano risate “gorgoglianti”. E anche quando l’apprendimento era assodato, quel gioco delle dita, ogni tanto, si doveva comunque ripetere. Il refrain “non cè più pane”  non è solo l’inizio di una filastrocca educativa, ma molto  più spesso di quanto si immagini è la realtà oggettiva, e  non basterebbero le dita di un asilo intero per contare le volte in cui a casa: non c’è più pane. Accade. Magari di Domenica, al ritorno da una gita fuori porta, carichi di formaggi tipici, salumi caserecci, marmellate contadine, e tutto da assaggiare. Accade, anche senza la gita e sempre di Domenica. Per tutte queste volte, per tutte le volte che mi sono sentita dire:- ma fai almeno una schinsa!?-( pane in padella velocissimo, a casa nostra si chiama così) ho elaborato la strategia del pane rapido. Io ve la propongo con tre possibilità diverse di pani e tre sistemi di cottura: in padella, in forno e al vapore; per poter affrontare con orgoglio e dignità quei momenti in cui la vostra fama di organizzatori è messa in discussione e la vostra autostima  scende più sotto dei tacchi. Buona esecuzione!

Pane tipo Chapati

pane chapati

Questo pane a casa mia si chiama “schinsa”, in Pakistan e nell’india del Nord, dove è il tipo di pane più diffuso si chiama chapati.  Tra i pani rapidi è il più veloce. Avendo più tempo l’ideale sarebbe di far riposare l’impasto per tutta la notte, questo fa si che in cottura si formino delle bolle, in caso contrario potrebbero non formarsi, ma questo non è un problema. Inoltre questo pane è leggerissimo, non è lievitato e ben si accompagna ai salumi, a dispetto della sua origine, che  non contempla tale abbinamento per questioni religiose. Per fare il chapati bisognerebbe adoperare una farina speciale  l’atta,  una farina integrale finissima. Se avete un buon frullatore potete rimacinare della farina integrale di grano, o potete usare della farina 00, se in casa non avete farina integrale. L’impasto può essere aromatizzato con spezie o aromi.  L’atta, detta anche farina chapati, è in vendita nei negozi etnici.

175 g di farina integrale rimacinata finissima

½ cucchiaino di sale

120 ml di acqua

Burro fuso o burro chiarificato per spennellare

Setacciare la farina e il sale in una terrina. Aggiungiamo l’acqua un cucchiaino di olio vegetale e rovesciamo sul piano di lavoro. Aggiungiamo altre farina se necessario e impastiamo per 5/6 minuti poi formiamo delle palline che lasceremo riposare coperte per 30 minuti. Con il mattarello tiriamo le palline fino a formare dei dischi alti circa 2 mm, che avvolgeremo dopo averli infarinati in pellicola per mantenerli umidi. Scaldiamo un piastra o una padella dal fondo spesso per qualche minuto. Prendiamo un chapati per volta e lo mettiamo sulla piastra. Cuociamo prima da un lato, fino che non si formeranno delle bolle, poi giriamo il pane. A cottura ultimata spennelliamo con il burro fuso e avvolgiamo il chapati in un panno umido. Serviamo caldo.

Pane cassetta rapido

pane cassetta rapido

Questo pane è davvero ottimo e rimane morbido a lungo. Ideale anche per la colazione abbinato ad ingredienti dolci.

1 stampo da plum cake

200 g di farina 0

1 cucchiaino di zucchero

1 cucchiaino di sale

6 g di lievito di birra secco

1 cucchiaio e mezzo di acqua tiepida

100 g di acqua

100 g di latte

15 g di burro

Sciogliamo il lievito con il cucchiaio e mezzo di acqua e lo zucchero. Mescoliamo la farina all’acqua e aggiungiamo il lievito sbattendo con una forchetta, poi aggiungiamo il latte e ancora 50 g di farina. Uniamo alla fine il burro sempre mescolando con la forchetta. Vuotiamo sul piano i lavoro ben infarinato e impastiamo aggiungendo dell’altra farina se l’impasto impasto fosse troppo morbido. Impastiamo per almeno 5/6 minuti poi mettiamo l’impasto nello stampo. Accendiamo il forno per 5 minuti a qualsiasi temperatura, poi lo spegniamo, inforniamo il pane e lo lasciamo riposare a forno spento per mezz’ora. Trascorso il tempo accendiamo il forno a 200 C° e senza aspettare che arrivi a temperatura, mandiamo a cottura per 45 minuti.

Pane al rosmarino cotto a vapore

pane al vapore

200 g di farina 00

1 cucchiaino di zucchero

1 cucchiaino di sale

8 g di lievito per torte salate

80 ml di acqua( circa 1 bicchiere

alcune foglie di rosmarino tagliate sottilissime

Impastiamo gli ingredienti e formiamo delle palline. Le mettiamo nel cestello del vapore copriamo e cuociamo per 30 minuti. L’ aspetto di questo pane è particolare, non ha la crosta ma solo una lucida pellicina e all’interno è molto morbido. E’ sicuramente un prodotto insolito, ma molto gustoso e, solo assaggiandolo, gli scettici e gli indecisi lo potranno valutare.

Il mio pensiero:Il pane è buono e la mia infanzia è ricca di “ricordi di pane”. Quando mia mamma mi mandava a comprarlo non riuscivo a non spizzicarlo, assaporandolo distrattamente e intanto il sacchetto si svuotava. Niente si mangiava senza pane. La colazione era fatta di pane: fresco, raffermo, biscotto. La merenda era fatta di pane: pane burro e zucchero, pane vino e zucchero, pane e frutta di stagione. A scuola gli spuntini erano di pane: pane e prosciutto, pane e salame.  A casa il cestino del pane troneggiava in mezzo alla tavola e guai a sprecarne anche solo un pezzettino: era un sacrilegio! Le briciole si davano agli uccellini e la tovaglia veniva scossa in un posto sempre uguale. Superfluo scoparle, che il giorno dopo non c’erano più. Le statitistiche confermano che al giorno d’oggi il consumo di pane conosce un declino; forse la crescente prosperità unita ad una maggiore varietà degli alimenti ha sostituito quello che era considerato l’alimento per eccellenza, con altro. Meglio così, la varietà dei cibi è fondamentale per una buona e sana alimentazione, ma non scordiamoci che il pane è comunque importante e che farlo in casa, magari facendoci aiutare dai piccoli, è un’esperienza davvero interessante. E soprattutto non scordiamoci di comperarlo…

Buona giornata!

Nai e il suo “Cucino da vicino”

“Se io fossi una nota vorrei essere il La; se  fossi un numero vorrei essere il sette; se fossi una torta vorrei essere la Sacher; se io fossi una foodblogger  vorrei essere come lei.”

Ho saputo del suo “Cucino da vicino” durante una di quelle che io chiamo ricognizioni tra i blog di cucina, ed è subito  insorta in me una buona invidia, la stessa che prova un pelato per chi è dotato di una folta chioma, per le sue macro- fotografie, che io-oramai è risaputo-non so fotografare. L’ho trovata su Twitter,  strano veloce informativo e interessante social network e l’ho subito riconosciuta: il primo tweet per lei su un polletto arrosto, il nostro primo contatto per via di un bonsai, Arturo, il suo bonsai,-il mio ha pensato di passare a vita migliore, pur di non stare tra i mie non verdi pollici-. Lei si chiama Nai e il suo blog è fresco e verde come la Primavera, bello e gentile quanto lei, che cucina e fotografa da vicino. Da vicino perché lei dice-sono un po’(tanto) miope. Cara Naima, se mi posso permettere, chi vede male spesso guarda meglio e tu scandagli, vai a fondo o miri lontano e cogli gli aspetti  più importanti e fondamentali del cucinare: attenzione per gli ingredienti, sempre freschi e di ottima qualità, giusto mix di tradizione e innovazione, semplicità ed efficacia.  Fare cucina per te è un modo di vivere, è cucinare con amore ogni giorno, nonostante le otto ore in ufficio e la stanchezza che ti sovrasta, da cui il tuo leitmotiv: “lavoro tutto il dì, ma i piatti pronti non mi avranno mai”.  Ma c’è un aspetto particolare  che ci  accomuna: entrambe non sappiamo niente di vino e non sappiamo come abbinarlo ai cibi. E allora? Allora evviva! Perché da questa carenza, che i “soloni” della cucina  considerano un’ incolmabile lacuna, tu ne ha tratto una virtù, un pregio, una peculiarità. Non c’è il vino giusto, ma ci sarà  la musica con il suo alto potere aggregante e che musica. Cosa c’è di meglio infatti del gustare ottimi piatti con un sottofondo musicale e non solo come aureola di una cenetta romantica? Ottimo Naima, sai abbinare al meglio due tra i più grandi catalizzatori, il cibo e la musica. Questa  è vera creatività! Grazie da Mamma, che buono! e dai suoi lettori, che nel tuo blog potranno trovare molto altro al di là delle ricette: recensioni, opinioni , luoghi, pensieri e brani musicali, sempre adatti alle ricette. Questa è sensibilità.

Ora vi lascio al piacere di scoprire “Cucino da Vicino” e  alla  ricetta, che pubblico nella sua versione originale, senza una pur minima correzione- in me ancora e sempre un’invidia buona per la sua precisione e per la sua  bellissima fotografia-. Per un effetto globale e pertinente raccomando l’ascolto del brano consigliato e il suo piatto sarà ancora più gradevole. Buona esecuzione e buona musica.

Tonnarelli agli asparagi selvatici, da noi meglio noti come Loertih              

Ciao Rosita!!!

ecco ricetta, musica e fotografia (quest’ultima ha un watermark non troppo invasivo ma c’è sempre perchè lo uso per tutte le mie foto, spero non sia un problema)*
SONY DSC
  • tonnarelli all’uovo (250 gr)
  • due manciate di asparagi selvatici
  • olio evo
  • sale
  • parmigiano grattugiato (a piacere)
Prima di tutto dovete sciacquare e capare gli asparagi, questo perchè non tutto l’asparago selvatico è mangiabile bensì solo la parte superiore, quella tenera e croccante, mentre la parte legnosa (verso la fine del gambo) dev’essere scartata.
Tagliateli a pezzetti di circa due centimetri e metteteli a soffriggere con un cucchiaio di olio evo, uno spicchio di aglio – che toglierete appena inizia a scurire – e un poco d’acqua (quest’ultima serve per aiutare la cottura degli asparagi). Salate e lasciate cuocere.
Per capire se sono cotti basterà provare a schiacciarli con una forchetta, quando risulteranno morbidi alla pressione potrete spegnere il fuoco.
Intanto cuocete al dente dei tonnarelli all’uovo (o spaghetti o linguine, ma preferite comunque una pasta lunga) scolatela e unitela al condimento, fate saltare per un minuto circa e impiattate.
A piacere aggiungete una spolverata di parmigiano grattugiato.
Beggin – Madcon (ecco i link youtube http://www.youtube.com/watch?v=8YVrnLa8V8M)
per qualsiasi cosa io sono qui!
ciao!!!
Piccola curiosità: Naima è un nome arabo che significa vita dolce e piacevole.Se è vero che come dicevano i latini in nomina sunt omina, nel nome c’è un presagio, io ti auguro che la tua vita lo sia, sempre, così come è per noi curiosare nel tuo blog. Un grazie infinito e a la prochaine.
Notiziona! Io e Nai Sabato 18 prenderemo il caffè insieme e ci conosceremo dal vivo e vero.
* ma potrebbe esserci qualche problema in una foto cosi? 
Felice giornata a tutti.