Nei panni di una nonna

battenberg intero

Non si tratta di mettersi nei panni di una nonna qualunque, ma di una tra le nonne più importanti della storia: la regina Vittoria d’Inghilterra. Le nonne, quando si tratta dei nipoti, sono tutte uguali e la regina non costituisce di certo un’eccezione. Infatti avrebbe voluto per la nipote prediletta Vittoria un partito da fare invidia al mondo intero, comprese le sue colonie e non era soddisfatta che la sua Vitti andasse in sposa al principe Luigi Battenberg di Assia, poiché questi non avrebbe avuto un futuro da regnante. Tuttavia appena vide questo giovane non poté fare a meno di notarne la prestanza fisica e apprezzarne i modi gentili, compiacendosi del buon gusto della ragazza. Così come sempre va a finire anche nonna Vittoria, come tutte le nonne, battagliò un po’ ma poi si arrese alla tenerezza.
Dunque, di lì a poco, si sarebbero sposati quei ragazzi: volente lei o nolente lei e bisognava organizzare un gran matrimonio. Tra un affare di stato e un altro c’era da pensare ai regali, anche. Con le ragazze di solito si fa prima: un bel gioiello, un bel castello, ma per lo sposo?
Optò per un buon cavalierato, titolo ambito e, dato che l’ordine della Giarrettiera avrebbe dato forse luogo ad incaute illazioni, si decise per quello ben più tranquillo del Bagno. Inoltre, il ragazzo, aveva spalle possenti da gran rematore: sì, vedeva per lui un futuro in marina. Regali a posto, ora veniva la parte più intrigante relativa a tutti i pranzi i tè delle cinque e via dicendo. Chiamò a raccolta i cuochi, i pasticceri e li istruì a dovere. Al pasticciere commissionò una torta che non fosse possibilmente rotonda ma che quadrasse o almeno “rettangolasse”, che avesse i colori dello stemma d’Assia e che fosse buonissima. E il pasticcere di corte fece un gran lavoro.
Alla fine il matrimonio fu regale, come c’era da aspettarsi: la regina Vittoria ne fu compiaciuta. E i genitori?…mah…a loro toccava il merito o il demerito di aver mandato la piccola Vittoria in Germania per migliorare il suo tedesco, senza pensare alle conseguenze – anche se in fine s’era rilassata, ancora le girava il tarlo del possibile miglior partito.
Per capirla, una nonna, bisogna comunque mettersi nei suoi panni.

La torta di Battenberg o Battenburg

Ingredienti per una torta  lunga 18 cm , alta 6 cm e larga 10 cm :120 g di margarina morbida, 120 g di zucchero semolato, 2 uova leggermente battute, gocce di vaniglia in estratto o vaniglina (1 bustina), 120 g di farina di mandorle, 120 g di farina auto-lievitante, 25 g di cacao in polvere,1/2 bicchiere di latte, 1 buona presa di sale, 1 barattolo di crema di nocciole (nutella o similari), zucchero a velo, 300 g di marzapane, gelatina di albicocche ( o marmellata fatta scaldare e passata al setaccio)

Occorrenti: 2 stampi da plum cake (anche usa e getta), carta da forno, coltello, pennello da cucina, spatola, frustino elettrico o impastatrice, ciotole, mattarello
Preriscaldate il forno a 180°C, in modalità statica. Imburrate leggermente gli stampi da plum cake e rivestite il fondo e i lati con la carta da forno.
Montate la margarina con lo zucchero il sale e la vaniglia e incorporate le uova e la farina di mandorle. Pesate il composto, suddividetelo in 2 parti uguali e versartelo in 2 ciotole. Unite alla prima ciotola metà della farina, la buccia d’arancia e il succo d’arancia, mescolando a mano. Nella seconda ciotola unite la farina rimanente, il cacao e il latte.   Riempire gli stampi con i due composti e livellare con un cucchiaio leggermente bagnato. Infornare per 15 minuti a 180°C e poi abbassare a 160°C e cuocere per altri 25/30  minuti. Una volta cotte, lasciate raffreddare le torte e sformatele su un piano. Tagliatele a metà. Con la crema di nocciole unite le due torte alternando i colori: bianco sopra nero, nero sopra bianco. Chiudere in pellicola e mettere a compattare in frigorifero per almeno 2 ore. Preparate su un piano leggermente infarinato con dello zucchero a velo setacciato il marzapane steso ad un altezza di almeno 3 mm. ed ampio tanto da avvolgere completamente la torta. Segnate lievemente sul marzapane una croce che vi aiuti a posizionarla. rifilate la torta dandole la misura definitiva e appoggiatela sul marzapane. Pennellate ogni lato con gelatina di albicocche per fissare bene la copertura. Lasciate raffreddare la torta in frigorifero e poi decorate a piacere con altro marzapane o cioccolato.

 

Allegoria a parte, la storia di questo dolce non è leggenda. Luigi Battenberg d’Assia e Vittoria si sposarono nel 1878 e questo fu il loro dolce celebrativo. La versione originale cita nove riquadri nello schema della torta che era bianca e rossa (lo stemma d’Assia comprende visibilmente questi due colori)e veniva assemblata con marmellata al posto della cioccolata. La mia, quindi, ne è una libera versione.

Buon fine settimana!

battenberg tagliato

Ragù VVV con gnocchetti di semola

Si potrebbe fare un ragù anche con le orecchie del maiale. Anzi la lunga cottura, tipica dei ragù, conferisce alle orecchie grande bontà. E la cottura, in questo caso, non sarebbe mai lunga abbastanza.
Ma se in un grande magazzino una volta al mese spingete un carrello pieno a braccetto e non vedete l’ora di tornare a casa, non comprare le orecchie, del maiale, perché una volta a casa il ragù non lo farete. Fermatevi piuttosto davanti al banco delle verdure e inventate un ragù  VVV: Vegetale-Veloce-Vincente, mentre parlate dei surgelati rincarati.
Rientrati, mettetevi pure comodi e impastate gnocchetti di semola. Poi, mentre cuoceranno gli gnocchetti, farete il ragù VVV. Se opterete per una pasta già fatta, meglio ancora…In questo caso ci sono quei, circa  pochi o mica tanti, minuti di “cazzeggio” da tenere presenti, durante i quali potrete porvi a vicenda la fatidica domanda: Scusi lei mi ama o no?
Se invece vi siete lasciati tentare dalle orecchie di maiale, perché no, mettetevi comodi lo stesso e iniziate con il pulirle, tagliarle, prelessarle – mi raccomando ci vuole un orto di sedano – e avanti, senza paura! Nel frattempo, se volete, potrete anche leggervi un po’ per uno i Promessi sposi.

Per 2 persone

Per gli gnocchetti: 250 g di semola di grano duro per pasta fatta in casa, 125 g di acqua calda, 2 pizzichi di sale

Per il ragù di verdure: 1 peperone, 1 cipolla dorata, 1 spicchio di aglio, 1 zucchina, 1 finocchio, 5 pomodorini, 1 carota, 2 cucchiai di arachidi salate tritate non troppo sottilmente

Mettere la semola in una  ciotola mescolata al sale. Versate l’acqua e iniziate ad amalgamare con l’aiuto di una forchetta. Rovesciare l’impasto sul piano di lavoro e lavoratelo per 10 minuti; poi chiudetelo ben stretto in pellicola e lasciate riposare nel frigorifero per almeno 30 minuti. Trascorso il tempo dividete l’impasto in 10 palline e formate 10 cordoncini. Tagliate gli gnocchetti alti un centimetro e metterli su un largo piatto spolverato di semola. Potete rigarli se vi piace con un riga-gnocchi o con i rebbi di una forchetta.

gnocchetti

Per il ragù: lavate le verdure e mondatele. Tagliate la cipolla e la carota a cubetti, la zucchina a bastoncino, il finocchio a cubetti, i pomodorini in 4 parti e le falde di peperone a fette sottilissime. Versate in una padella olio di oliva extravergine, calcolandone 1 cucchiaio a testa, aggiungete l’aglio sbucciato e schiacciato e il peperoncino e rosolateli. Unite la carota la cipolla e il peperone. Cuocete per 5 minuti, regolate di sale e unite le verdure rimanenti. Cuocete ancora per 10 minuti, aggiungendo poca acqua di cottura. Mentre preparate il sugo cuocete gli gnocchetti. Ci vorranno circa 20 minuti di cottura. Una volta cotti scolateli e saltateli con il ragù VVV (togliete l’aglio). Serviteli ben caldi  spolverati con le arachidi.

Un pensiero e un grazie al grande Lucio Battisti.

Buona giornata a tutti.

gnocchetti di semola al ragout

Le pesche a Febbraio

pesche a febbraio

Quando ormai non ci speravano più, accadde il miracolo. Forse in una sera come tante, prima di addormentarsi e di girarsi ognuno sul proprio fianco.
La gioia di quella gravidanza fuori tempo cresceva in lui, futuro padre attempato, di pari passo con le complicanze di un prevedibile e non singolare problema: le voglie di sua moglie. In quel Febbraio, che più freddo non s’era mai sentito e al limitare della notte, accusò un’improvvisa quanto “squinternata” voglia di pesche.
Bella donna la Marchesa, nobile di cuore e fantasiosa anche nel lanciare i desideri tipici di tutte le future madri, così come lo era in ogni sua espressione. Tant’è che, per questa sua spiccata fantasia, il Marchese  si era ritrovato a dover correre sul greto del fiume, a notte fatta, per pescare piccoli gamberi; dallo speziale, nel tempo del pranzo, a recuperare caramelle d’orzo; a dover incaricare i migliori pescatori delle onde di lago affinché gli trovassero un’anguilla.
“Le voglie marcano” si ripeteva e aspettava, cercando di mantenere inalterata la sua gioia, il momento – prima o poi sarebbe arrivato – della fine delle “voglie gravidiche”. Così le aveva chiamate la levatrice. Che altro poteva fare, lui, se non accontentare sua moglie, sperando di non esaurire la sua amorevole pazienza prima che quel figliolo – o quella figliola – andasse camminando all’indietro come un gambero o avesse la pelle dell’anguilla per una sua, se pur comprensibile, inadempienza.
Non ne parlava, con nessuno, ma si sentiva ormai prossimo al colmo. Oltremodo preoccupato e sempre all’erta. Al punto che, quando la poverina di notte si svegliava all’improvviso, anch’egli subitamente si sentiva percorrere da una frenesia tale da fargli scorrere saliva, quasi che la voglia prendesse anche lui.
Ora era la volta delle pesche. Le pesche in Febbraio. Se solo fosse stata stagione, con tutti i frutteti del Marchesato, ci sarebbero state pesche da sfamare il mondo intero. Ma in Febbraio! In Febbraio! Si mise la mano sulla fronte, sconsolato e se la passò tra i suo pochi capelli.
Accadde che, faustamente, questa mano in testa gli fu davvero provvida. Si ricordò, infatti, di  una corona fatta apposta per lui e fatta di pane, talmente bella con tanto di fioroni, che ci si sarebbe potuti confondere. Non c’era tempo da perdere.  Questa era la cosa giusta da fare, alla giusta ora. Si coprì alla bell’e meglio e uscì di gran furia.
Carlin Fornaio aveva appena acceso il lume della bottega quando sentì bussare al portone: colpi così forti che parevan quasi dolorosi. Da padre di sette figli qual era ebbe di che preoccuparsi e si avviò ad aprire, pensando al peggio. A notte fonda non ci si poteva che spaventare. Aprì e indietreggiò, facendo quasi un salto, stupito e ad un tempo rincuorato: non c’era nessuno dei suoi per fortuna. Sì, ma che cosa ci faceva il Marchese, lì, a notte fonda, con il berretto da notte calato in testa e il pigiama sotto i vestiti? Se non fosse stato che doveva mostrargli il dovuto rispetto, si sarebbe messo a ridere forte. “Marchese, è successo qualcosa?”
“Niente di grave, Carlin. Ma non so che fare! Qui, questa volta si sta facendo complicata: la mia signora ha voglia di pesche…ora, in Febbraio!”.
A Carlin venne ancora più da ridere, pensando che la sua, di signora, aveva sfornato sette spettacoli senza avergli mai dato un problema, non uno, mai. Anzi lo aiutava in bottega fino all’ultimo momento rischiando di spiattellare i figlioli sul freddo e duro pavimento. A quel punto ci sarebbe stato da polemizzare fosse anche solo per riportare quel pover uomo coi piedi per terra. Ma guardando il Marchese e, potendo leggergli in faccia l’angoscia ben scritta, riuscì solo a rispondergli: “Ho capito. Tornate domani mattina, caro Marchese, in qualche modo  vi aiuterò”.
E si salutarono, guardandosi a lungo negli occhi non da nobile a popolano ma da uomo a uomo, riuscendo così a capirsi perfettamente, senza aggiungere nient’altro.
Dovete sapere che Carlin fornaio era davvero un fornaio speciale, altrimenti non sarebbero venuti in tanti e anche da molto lontano per servirsi da lui. Assai famose erano poi le sue sculture di pane.  A chi gli chiedeva il segreto della perfetta lievitazione soleva rispondere che non c’era alcun segreto. Forse era l’acqua della valle, l’aria, forse la farina, forse…forse niente. Tutto l’arcano stava nelle sue mani, grandi; mani generose sempre paonazze per il troppo lavoro.
Non era davvero il caso di perdersi in riflessioni, c’era da fare ora e  ritornò al suo bancone. Per lui riprodurre delle pesche sarebbe stato gran poco rispetto alle sue magnifiche sculture ma, per qualcuno, quelle pesche finte avrebbero rappresentato più di molto. Lavorò con zelo e precisione e per tutto quel tempo non gli riuscì proprio di non pensare a quanto fosse viziata la Marchesa; a quanto era stanco quell’uomo e, infine, a quanto spesso potevano essere smarriti coloro che possedevano in abbondanza. Finita l’opera esaminò con cura  il risultato e si compiacque del suo saper fare.
Quando al mattino, di buonora, il Marchese tornò dal fornaio, aveva gli occhi gonfi della notte insonne. “Marchese, non v’aspettavo così presto. Certo che la Marchesa è gran brava a tenervi sveglio!” disse, ma si penti subito di quello strale proprio infelice.
Cercò allora di rimediare: “Sursum corda Marchese, che il bello deve ancora arrivare. Posso ben dirlo io, che son padre di sette e ho il cuore diviso un pezzo per ognuno! Eccole qua le vostre pesche. Appena formate. Come sono?”. In un piccolo paniere consunto stavano in bella mostra le pesche di Febbraio, talmente verosimilmente belle che di nuovo si sarebbero potute confondere con quelle vere. Niente da dire: Carlin fornaio meritava di essere definito il “Michelangelo del pane”.
“Ma… Carlin, sono uno spettacolo!” e per gradire se ne mise una intera in bocca.
“U-gua-li! Non vedo l’ora che mia moglie le veda e le assaggi. Quanto ti devo, Carlin?”
“Nulla Marchese. Per me è stato un divertimento. Speriamo che la Marchesa le gradisca…ci tengo a saperlo”.
“No, Carlin. È mio dovere ricompensarvi. Prima di tutto nomino voi e vostra moglie padrini del mio erede e vi invito tutti alla festa di battesimo. Per la ricompensa farò di testa mia”. Poi, quasi disorientato, abbracciò Carlin come fosse suo fratello, pensando che avrebbe premiato non una, ma due volte tanto, quella rara quanto preziosa onestà.
Le pesche a Febbraio. E chi l’avrebbe mai detto. Certo che aveva proprio avuto una bella idea, pensò. E se andò con il paniere ben colmo sotto braccio, desiderando di arrivare al più presto dalla Marchesa per testimoniarle ancora una volta il suo amorevole zelo.
Si racconta che per il Marchese quella fu l’ultima fatica, prima di tutte le vere da novello padre e che la sua generosa ricompensa per Carlin non tardò ad arrivare. Per fortuna, perché per quella lussuosa festa di battesimo “il Michelangelo” dovette comprare vestiti e scarpe per nove persone.
La Marchesina Camilla, Cosima, Alda, Teresa,  Giuseppina di Castelduomo di Vergassoli  nacque,  per l’immensa gioia dei suoi adoranti genitori in una tiepida notte di fine Maggio, annunciata da otto colpi di cannone. Era candida come il burro e lo zucchero e rosa, come una pesca.

Ingredienti per il preimpasto: 30 g di zucchero semolato, 200 g di farina manitoba, 60 g di acqua, 50 g di uova, 20 g di lievito di birra, 30 g di burro

Impasto: 260 g di farina 0, 130 g di farina manitoba, 100 g di zucchero, 50 g di burro morbido, 180 g di uova sgusciate, 20 g di arancia candita (facoltativa), 5 g di sale

Per la crema pasticciera: 500 g di latte intero, 6 tuorli, 150 g di zucchero, 42 g di maizena, 1/2 bacello di vaniglia, scorza di un limone

Per la decorazione: alchermes zucchero semolato, foglie di menta o pasta di mandorle verde.

Per preparare il preimpasto: in una ciotola versare la farina a fontana, nel mezzo sciogliere il lievito di birra nell’acqua e poi impastare con gli altri ingredienti. Versatelo sul piano di lavoro e impastatelo a lungo fino a raenderlo liscio e abbastanza morbido. Rimettetelo nella ciotola, copritelo con pellicola e lasciatelo lievitare in luogo non freddo per 90 minuti o fino al raddoppio. Trascorso il tempo schiacciatelo e mettere al centro gli ingredienti dell’impasto. Aggiungete i canditi, se previsti e rovesciate l’impasto sul piano di lavoro. Impastate a lungo, rimettete nella ciotola e  coprite. Lasciate lievitare per circa 2 ore. Trscorso il tempo formate delle palline di circa 15/18 g l’una.
Disponetele distanziate su placche rivestite con carta da forno e lasciatele lievitare fino a triplicare il volume (circa 3 ore e mezza). Cuocete in forno preriscaldato a 175°C, in modalità statica, placca a metà.

Per preparare la crema pasticciera: portate il latte a bollore dopo aver unito la scorza del limone la vaniglia. Montare i tuorli con lo zucchero e il sale e unite sempre montando la maizena. Versate la montata di uova sul latte bollente, filtrato fuori dal fuoco e mescolate con cura. Rimettete sul fuoco e  cuocete fino ad addensare. Versate la crema su un piatto largo e coprite con pellicola a contatto.
Per assemblare: con un coltello a sega tagliate le pesche a metà e formate un incavo con il dito nella parte piatta. Allungate 3 dl di alchermes con poca acqua e immergetevi le mezze pesche, poi passatele nello zucchero semolato. Lasciatele asciugare per 30 minuti. Farcitele con crema abbondante e decoratele con la  menta fresca o foglioline di marzapane colorato. Potete fare il piucciuolo con un chiodo di garofano tagliato, o pezzettini di baccello di vaniglia.

A voi tutti auguro una giornata felice.

I “Golosi”

Bello è guardarvi. Appoggiati, così, uno sopra l’altro. Stracolmi e ad un tempo leggeri.
Rifletto sulla chiusura a triangolo, davvero ideale a contenere ciò che diversamente avrebbe potuto scoppiare. E anche stavolta mi meraviglio, com’è tutte le volte che uso la pasta fillo. “Lei” è: geniale. Fatta di niente di tutto, ma incredibilmente adatta ad avvolgere. Non si direbbe, perché si sbriciola quasi, talmente è sottile. Ma prendo il pennello, lo intingo nel mio amato burro e la domo.
Eccovi lì: dorati, croccanti, ricolmi. Niente si è perso attorno: tutto il buono dentro, tutto il bello fuori.
Bene, non mi resta che assaggiare…Mamma, che buoni!
Come posso chiamarvi? Triangoli di pasta fillo ripieni di banana, nocciole e cioccolato. Perbacco! Si fa prima a farvi che a chiamarvi. Ecco, ho trovato, una mia cara amica ha detto: “golosi!”. Questo sì che è un nome davvero azzeccato! “Golosi”. Proprio così vi chiamerò.

triangoli di pasta fillo

Per 20 Golosi

Ingredienti: 20 strisce di pasta fillo lunghe 20 cm e larghe 7 cm, 1 uovo, 70 g di cioccolato fondente, 1 banana a giusta maturazione, 1 cucchiaio di nocciole tostate e tritate, 70 g di burro, 1 presa di sale, 1 cucchiaio di farina, 50 g di zucchero di canna bianco, 1 tuorlo, poco latte, burro fuso, zucchero a velo
Occorrenti: casseruola, ciotola per il bagnomaria, ciotole, coltello, cucchiaino, teglia, carta da forno
Tempo di preparazione: 30 minuti
Grado di difficoltà: facile

Preparate il ripieno: fondete il cioccolato a bagnomaria. Aggiungete il burro tagliato a piccoli pezzi, il sale e mescolate.  Togliete il cioccolato dal bagnomaria, unite lo zucchero e l’uovo. Infine versate la farina, le nocciole tritate e amalgamate.
Assemblate i fagottini: sciogliete il burro e stendetelo con un pennello su ogni striscia di pasta fillo. Ponete ad ogni estremità della striscia una fettina di banana, un cucchiaio da tè di ripieno e piegate a formare un triangolo. Avvolgete mantenendo la forma triangolare fino alla fine della striscia. Appoggiate i fagottini sulla teglia rivestita con carta da forno e pennellateli con il tuorlo mescolato a poco latte e ad un pizzico di sale. Cuocete in forno preriscaldato a 180°C in modalità statica, con la placca a metà altezza, per 10 minuti o fino a doratura. Spolverizzate i fagottini con zucchero a velo e serviteli tiepidi.

Consigli: potete cambiare il ripieno come preferite. Al posto della pasta fillo è possibile usare della pasta sfoglia. In questo caso prolungate il tempo di cottura di almeno 15 minuti. Come dicevo, la chiusura a triangolo è perfetta. Ma la pasta fillo è assai versatile e potete variare la forma dei vostri golosi come vi piace.

Buon fine settimana a tutti voi.