La torta di Jack O’ Lantern

 

torta di zucca salataCome fosse finito un fantasma nella cucina di un’osteria non era difficile capirlo: i fantasmi possono essere dovunque. Ben più arduo era invece intuire come avesse potuto diventare un aiuto cuoca, un sous chef, via! Tutto era accaduto nella notte di Halloween.
Prima di diventare un fantasma Jack O’ Lantern non era stato quel che si suole definire un buon cristiano, anzi: viveva alle spalle della madre anziana,  tendeva allo sperpero ed era quasi sempre ubriaco. Inoltre, non aveva mai lavorato. Vista la sua condotta nessuna donna lo amò e se ne prese mai cura tranne sua madre, fino a che fu in vita, poi… Ne lui, dal suo canto, era  facile all’innamoramento  o a stabilirsi, come desidera un uomo normale. Tuttavia la sua inerzia sentimentale durò fino al giorno in cui la vide per la prima volta.
Lei si chiamava Jenna Chubby,  era la moglie dell’oste e lavorava in cucina. Non che fosse particolarmente bella, ma si sa che l’amore è cieco. Di lei lo irretivano prima di tutto il piglio deciso, la foga di donna sicura; poi la figura imponente, le braccia forti e il viso bianco e rosso della salute.  Era sempre lei a cacciarlo fuori dall’osteria  a notte fonda, imprecando contro di lui e tutto il genere maschile. E quand’era arrabbiata gli pareva ancora più bella, così forte nella sua veemenza che tutta la mitragliata di insulti a raffica diventava una sequenza di sonetti. Quindi, ciò, fu per lui l’ amore vero dal primo all’ultimo bicchiere; amore cieco e finanche sordo.  Solo con una donna così si sarebbe messo a posto, per sempre! Che dire, che fare: pur di avere le sue attenzioni avrebbe venduto l’anima al diavolo.
Non è che se qualcuno vuole vendere l’anima al diavolo lo deve dire due volte, basta solo una e pensata addirittura, ché lui è sempre alla ricerca di merce e non aspetta altro, infatti…
Nel bel mezzo di una delle sue solite bevute fino a sfinirsi, il diavolo gli si avvicinò e come un amico qualsiasi si mise a parlare del fascino che certe donne erano in grado di suscitare e poi, ancora, pontificò sul fatto che alcune erano specialiste nello stracciare il cuore. Così, vuoi perché in vino veritas, o perché non vedeva l’ora di alleggerire il sacco pieno di sentimento non corrisposto, si confidò con questo amico fortuito facendosi perfino scappare più d’una lacrima.
“Sono il diavolo”. Se ne uscì, dopo lo sfogo, il nuovo arrivato.
“Se vuoi davvero quella donna c’è un solo modo per averla: vendimi l’anima e lei sarà tua per sempre”.
Come, pensò, l’amore in cambio dell’anima? Qualcosa non gli tornava. Pensava e ripensava e, se pur ottenebrato, non si figurava di poter amare qualcuno senza più avere  l’anima. Allora gli prese la paura, la paura forte di essere andato al di là del possibile: era sì molto ubriaco, ma non uno scellerato. Valeva la pena? Mah… Così, preso dal dubbio, chiese al finto amico: “Non ti nascondo, Diavolo, di averci pensato. Ma come faccio ad essere così sicuro che  mi vorrà, dopo che mi sono privato dell’anima?”
“Oh niente di più facile, quello è un problema tutto mio. Vai questa notte al Ponte delle Streghe e la troverai là, che ti aspetta.”
Detto ciò, così com’era apparso il diavolo si dileguò, lasciandolo nella più completa confusione e totalmente immemore del patto appena stipulato. Non solo: troppo pieno di vino quella notte riuscì a mala pena ad aprire l’uscio di casa, dopo essere stato spazzato fuori dall’osteria da una Jenna infuriata, che il ponte delle streghe non sapeva nemmeno dove fosse.
Anche Il diavolo, preso da numerosi impegni, si dimenticò di quell’anima da reclamare e pensò ad altro, per un po’ di tempo; poi improvvisamente si ricordò dell’innamorato perso. Amore o no, la parola era stata data: non si parlava a vanvera con lui, il diavolo.
Quando entrò all’osteria per compiere il suo dovere di diavolo stava imbrunendo. Trovò Jack O’ Lantern seduto al solito tavolo, con la testa tra le mani e più di là che di qua.
“Sono venuto a prendermi quanto mi spetta, caro!” gli intimò.
“Ti ricordi che per amore di Jenna mi hai venduto l’anima? Ti ricordi il ponte delle Streghe? Ora dammi la tua anima!”
Jack, a dire il vero ben poco si ricordava, se non di avere solo dormito. Inoltre niente faceva suppore che Jenna si fosse finalmente invaghita di lui:  era sempre la stessa, con la voce per aria e la  scopa in mano per cacciarlo, nulla era cambiato. Ma la questione dell’anima al diavolo era sicuramente grave e doveva scoprire un modo per risolverla.
“Caro Diavolo” gli disse “Va bene, ti do l’anima. Ma prima permettimi un’ultima bevuta”. E questi, ingolosito, gli rispose: “ Oh, per tutti i diavoli! Beviti anche la decima, ma basta che ti sbrighi, non ho tempo inutile!”.
Si sa che  il diavolo perde facilmente la pazienza, che è viziato e volitivo, che se vuole una cosa fa di tutto per averla.
“Non ho più soldi, dovresti prestarmi una moneta”, e il diavolo “Non ho danaro con me”. Jack O’ Lantern tremava come una foglia, ma riuscì a chiedere: “Allora visto che sei potente trasformati in moneta!”.
Ecco fatto: il diavolo si trasformò in un soldino. Subito Jack prese il diavolo così come s’era reso, monetina, e lo mise in tasca, vicino ad una piccola croce d’argento che gli aveva regalato suo nonno. Ahhhh, che brutta fine fece quel povero diavolo che con le croci non andava d’accordo! Costretto, per giunta, in una tasca puzzolente.
Solo molto tempo dopo riuscì a ricomporsi, a riprendere la sua forma di diavolo, ad uscire da quella tasca e, stiracchiandosi,  tornare finalmente là da dove era venuto, cioè all’Inferno.
Non è dato sapere quanti giorni o quanti anni passarono, di fatto il Diavolo mai si dimenticò di quella tasca stretta, di quella croce che la voleva sempre vinta e dell’inganno.  Jack invece rimase sempre lì, ad ubriacarsi e a ciondolare, innamorato e solo. Poi, per via di quella sua vita dissoluta, morì.
Non che avesse sperato nel Paradiso, no, ma almeno un posto o perfino un postaccio all’Inferno se lo sarebbe meritato, dopo tutta una vita passata a cercarselo e invece… “Ah, ora mi ricordo di te! Mi restano, a memoria, ancora tre o quattro botte e tutte le pieghe, per essere stato costretto e, in assai brutta compagnia, nella tua tasca da ubriacone, brutto disgraziato! Per quanto mi riguarda l’Inferno, ora, te lo dovrai meritare. Io qui non ti faccio entrare!” E detto questo, tirandogli  dietro un tizzone ardente, lo mandò a girovagare, errante a tal punto, da non potersi fermare mai, aspettando di guadagnarsi un posto all’Inferno. Si era proprio dannato l’anima Jack O’ Lantern. Non avrebbe mai dovuto scendere a patti con il diavolo.
Stanco morto, si informò presso alcuni suoi colleghi fantasmi, che stavano vagando come lui, se vi fosse la possibilità di avere una sistemazione anche temporanea: una soffitta, una cantina, un sottoscala, in attesa dell’inferno, per riposare il suo lenzuolo. In simultanea risposero che anch’essi stavano cercando, ma che, per i fantasmi, i tempi erano davvero duri.  Ora non spaventavano più nessuno, neanche i bambini. Addirittura c’era chi li acchiappava e li metteva sotto spirito per tutta l’eternità e allora sì che erano guai seri. Inoltre, la moda del fantasma di famiglia era bell’e che passata. Non rimaneva che aspettare la notte di Halloween quale momento adatto a trovare un buon posto, forse in eterno.
Nella confusione generale di quella notte, non si distinguevano i fantasmi veri dai finti, quindi nessuno si preoccupava di cacciarIi via e nemmeno li mettevano in un vasetto, per il timore di sbagliarsi.  Anche il diavolo non si faceva vivo, per non incorrere in crisi d’identità. Così indisturbati  avrebbero potuto di soppiatto intrufolarsi in un luogo accogliente, da fantasmi.
Per lui ci fu un’unica strada, e forse l’ultima, da percorrere quella notte: la strada verso l’osteria. Perché esisteva un unico posto dove avrebbe voluto riposare il suo stanco lenzuolo: vicino a Jenna Chubby. Di certo, da fantasma, non avrebbe potuto vederlo.  E lì si diresse senza pensarci tanto.
“Oh, Jenna, Jenna! Sapessi come mi sono dannato l’anima per causa tua…” e, mentre con il cuore contrito parlava da solo, vide che alla finestra della sua ostessa rubiconda c’era una bella zucca. Fece per sollevarla e…“Jack o’ Lantern,  giù le mani da quella zucca!  Mi serve per cucinare. Non hai ancora smesso di combinare guai? Vieni qui che ti metto a posto, io…”. Una voce fin troppo conosciuta e desiderata lo fermò. Che dolce musica per le sue fantasmatiche orecchie!
“Ma c’è una candela, dentro…” solo questo riuscì a risponderle. “Che importa? Una volta tolta quella, la cucinerò. Allora! Ti vuoi muovere? Ci sono le patate da pelare, i polli da spennare, il pane da infornare, le torte di zucca da fare, forza!”
Superato lo choc provato nel ritrovarla, scoprì fortunatamente che lei era ancora lei: la stessa donna pratica ed efficiente. Lei era ancora lei: lo stesso grembiule a quadri. La stessa faccia paffuta. Le stesse braccia forti. La stessa voce. Era una certezza. “Con una così” ebbe a dirsi “non hai più paura di niente, non ti ciondoli ubriacandoti. Non vai di qua e là, né da vivo né da morto.”
E infatti fu lì che restò, con un unico dubbio: come aveva potuto vederlo? Che il diavolo ci avesse messo del suo? Mah…di fatto nessun altro mai lo vide all’infuori di lei, che, in virtù di quell’ aiuto inaspettato quanto invisibile , di lì a poco avrebbe fatto ingelosire l’oste. Prese, infatti, ad assentarsi spesso; frequentava la palestra, l’estetista e il parrucchiere. Era più rilassata, perfino dolce e spesso dopo avere ben “cazziato” il suo aiutante, gli faceva l’occhiolino. Che ci fosse un altro? Si chiedeva il buon uomo. Nooo! C’era molto altro: molto, altro, tempo.
Forse il diavolo s’è davvero dimenticato di Jack O’ Lantern, che è sempre lì, lì che lavora: pela patate, inforna il pane, passa lo straccio, e prepara per la notte di Hallowen una torta di zucca davvero buona. Ogni tanto rimpiange di essere capitato in quel posto  con la stessa intensità con la quale aveva bramato di giungervi. Spesso arriva perfino a desiderare che il diavolo torni a riprenderlo, che di tanta fatica non ne può più. Poi però si lascia trastullare dalla vicinanza di Jenna e dalla celestiale illusione di non stare lì per guadagnarsi un posto agli Inferi, bensì ad aspettare un’altra vita  e la possibilità che lei, infine, in quell’altra vita, lo amerà. Ora, per lui, l’Inferno può attendere. Non altrettanto l’amore.

Torta di Jack O’ Lantern

Ingredienti per 8 persone: 200 g di riso vialone nano, 1 albume, 3 cucchiai di grana grattugiato, 30 g di burro, brodo, 400 g di polpa di zucca, 200 g di besciamella o di ricotta, 1 uovo e 1 tuorli, sale e pepe
Ingredienti per la mousse al taleggio: 200 g di panna, 70 g di taleggio, sale

Per preparare la mousse al taleggio: in un pentolino scaldate la panna e il taleggio fino a fonderlo del tutto. Mettete in una ciotola e conservate in frigorifero coperto per almeno 10 ore. Trascorso il tempo montate la panna al taleggio a velocità media. Con la sac a poche decorate a piacere la superficie della torta, o servite a parte.

Per preparare la torta: lessate il riso nel brodo per 12 minuti, scolatelo e mescolatelo con il grana il burro e l’albume. Foderate la tortiera con carta da forno e aiutandovi con il dorso di un cucchiaio livellate il riso sui bordi e sul fondo. Infornate a 200°C per 15 minuti. Nel frattempo mescolate la polpa di zucca con l’ingrediente scelto (besciamella o ricotta) e tutti gli altri ingredienti. Regolate di sale e pepe e travasate nel guscio di riso. Proseguite la cottura a 170° per altri 40 minuti.

Consiglio: per la crosta di riso potrete usare del risotto avanzato.

Buona giornata a tutti!

 

 

 

 

 

 

Il pane al burro di Atiqa

pane al buro di Atiqa

Atiqa ti guarda e sorride, le viene naturale. Il suo viso è solare e disteso e il velo che porta fa da cornice ad uno sguardo di occhi quasi dipinti. Atiqa è arrivata da sola assieme a tanti e ha sfidato il mare per essere in questo posto che le piace, ma che non voleva, dove è stata accolta con amore. Ora non ha più paura.
Atiqa ha scelto di lavorare in cucina e non vuole che nessuno l’aiuti: prepara da sola pranzi e cene per tanti che come lei hanno lasciato la loro terra. Si sente utile e per questo è serena.
Atiqa questa sera insegnerà, a me e ad altre signore, a fare il suo pane al burro. Mentre impasta penserà molto probabilmente a quante volte lo ha preparato nella casa degli “importanti” dove  lavorava prima di arrivare in Italia. Ha rigovernato la cucina e messo a posto ogni cosa. C’è, per il momento, un quieto andirivieni di ospiti della casa di accoglienza: chi asciuga i piatti, chi passa lo straccio. Poi tutti si fermano, perché inizia la lezione.
Atiqa impasta il suo pane ed è difficile per me prendere nota delle quantità. Provo a chiedere, ma parla molto poco e pochissimo l’italiano. Non importa: le carpirò dalle sue mani, dai suoi occhi, da come muove amorevolmente l’impasto.
Il mio pensiero vaga e torna  a quei trentacinque volti che si sono sollevati all’unisono per salutare. Sguardi stupiti, forse dal mio biancore. E sono quasi imbarazzata di fronte alla diffusa gioia gratuita: non sono abituata alle felicità di niente. Mi viene da  pensare che non sto solo imparando a fare del pane ma molto, molto di più.
Questa sera è la sera di Atiqa, è il momento del suo pane al burro. “Quanto di questo o quanto di quello” ora non ha davvero più importanza: è come avere a che fare con una nonna o una mamma, che le ricette  le hanno scritte nel cuore. Vorrei invece riuscire a trasmettervi la felicità che Atiqa aveva negli occhi quando ha sfornato il suo pane. E com’è buono il pane di Atiqa, buono come lei.

Ingredienti: 500 g di farina 00, 1 cucchiaino di zucchero, 10 g di lievito di birra secco, 5 g di sale, 2 cucchiai di olio di oliva, 40 g di burro fuso + 40 g a pezzetti, acqua q.b., semolino
Occorrenti: teglia rotonda o rettangolare, ciotola, pellicola o canovaccio
Tempo di preparazione: 30 minuti + lievitazioni

In una ciotola mettete la farina, il lievito, lo zucchero e l’olio. Iniziate ad impastare versando l’acqua che terrete dentro ad una brocca. Quando si sarà formato un impasto appiccicoso, aggiungete il sale sciolto in poca acqua e rovesciate l’impasto sul piano infarinato. Lavoratelo per circa dieci minuti. Formate una palla, mettetelo nella ciotola, copritelo con la pellicola e il canovaccio e lasciatelo lievitare fino al raddoppio. Trascorso il tempo tirate l’impasto fino a formare un cordone con le mani unte con il burro fuso . Spolverate il cordone con del semolino e arrotolatelo su se stesso appoggiandolo direttamente sulla teglia rivestita con carta forno. Lasciatelo lievitare ancora fino al raddoppio, senza coprirlo. Prima di infornarlo schiacciatelo con le mani, spolveratelo con semolino e distribuite il  burro (gli altri 40 g) a pezzetti sulla superficie. Cuocetelo a 200°C in modalità statica per 25 minuti. Il pane è cotto quando sul fondo è leggermente dorato.  Servitelo con dell’ottimo prosciutto crudo.

pane al burro di atiqa 2

Io ringrazio Atiqa e lei vi ringrazia.
Felice giornata!

Pollo alle olive in salsa Soubise

“Il modo di preparare le salse, quanto è il più possibile accurato e perfetto, costituisce la miglior propaganda, il miglior titolo d’onore per una cucina; appartenga essa ad un albergo o ristorante, oppure sia il prodotto dei più modesti sforzi della massaia.”
H.P. Pellaprat – L’Arte della cucina moderna

pollo alle olive

Le salse in cucina contano, contano moltissimo. Io ne ho contate almeno centocinquanta. Ho sfogliato pagine e pagine di salse, ben descritte, accurate: dalle più facili alle più difficili, dalle dolci alle salate, deducendone l’importanza.
La salsa che ho “rimaneggiato” è una canonica salsa Soubise inventata alla fine del XVIII secolo da un cuoco amatoriale, che molto probabilmente studiava talmente bene le sue preparazioni da renderle interessanti agli occhi dei professionisti. Al giorno d’oggi, il nostro pari maresciallo di Francia Carlo de Rohan Soubise, sarebbe un bravo food blogger e non una massaia come me. Ma è proprio dal mio “modesto sforzo di massaia” che è nata questa salsa per il mio pollo. Sicuramente non sarà descritta negli annali, neppure lo si pretende, ma è piaciuta molto e questo è importante: anche una massaia ha le sue soddisfazioni.
Se poi si considera che il pollo, anzi i polli, non erano contadini e che ai tempi di WhatsApp anche le migliori massaie rischiano di bruciare la cena, la Soubise, sebbene non di perfetta esecuzione, si è rivelata perfetta per riparare a un piccolo danno. Chiedo venia quindi a tutti gli eminenti: sono una massaia, apprezzate il mio sforzo.

Ingredienti per 4 persone: 8 cosce di pollo, 6 cucchiai di olio di oliva, 2 spicchi di aglio, 1 rametto di rosmarino, 50 g di olive nere, 1/2 bicchiere di vino bianco, sale e pepe, brodo di pollo o vegetale.

Ingredienti per la salsa soubise: 150 g di cipolla, 250 g di besciamella densa, 20 g di burro, brodo vegetale o di pollo, sale e pepe.

Occorrenti: padella, pellicola, carta da cucina
Tempo di preparazione: 60 minuti

Pulite le cosce da eventuali residui di piuma e lavatele con acqua fredda, poi asciugatele con carta da cucina. Nella padella scaldate l’olio, aggiungete il pollo e rosolatelo uniformemente per 10 minuti. Versate il vino, lasciate evaporare, aggiungete le olive, il rosmarino, il brodo e cuocere per 40 minuti, scoperto. Trasferite il pollo cotto in un piatto e copritelo con pellicola.
In un’ altra padella scaldate il burro e unite la cipolla tagliata a rondelle sottilissime. Rosolatela e versate poco brodo per portarla a cottura fino a renderla trasparente. Aggiungete la besciamella e fate cuocere ancora per qualche minuto. Regolate di sale e pepe e passate al setaccio. Versate la salsa nel fondo di cottura del pollo, mescolate per unire i composti e scaldate, se necessario. Servite il pollo nappato con la salsa ben calda.

Ricordo: per la besciamella usate stessa quantità di burro e di farina e moltiplicate per 10 volte la dose di latte o altro liquido (es 25 g burro, 25 g farina, 250 g di liquido). Se la volete densa limitate la quantità di liquido. La besciamella deve cuocere a fuoco lento per almeno 5 minuti.
La versione originale della salsa Soubise prevede che la cipolla sia sbollentata prima di essere brasata nel burro. Viene infine arricchita con della panna. Se volete unirla, ne bastano 2 cucchiai, fatelo dopo aver passato la salsa al setaccio.
Le salse in genere sono come la gelosia o il pepe: vanno usate nella giusta quantità o rovinano l’amore e le pietanze. Se la gelosia è troppa, non è che la si può riciclare, ma se lo è la salsa,  potrete condire: riso, pasta o uova lesse.

Buona giornata!

 

 

 

 

 

 

Tortino al cioccolato e crema di nocciole

Non chiamatemi muffin, perché muffin non sono. Chi mi ha fatto questa fotografia ha  avuto almeno il riguardo di chiamarmi con il mio nome vero: tortino al cioccolato. Poi ci sarebbe la crema, ma questo fa parte della scena, infatti.
Infatti, voglio dire, c’è differenza  tra me e lui, cioè il muffin. Eccome! La stessa differenza che sussiste tra colui che si prepara per un appuntamento galante e colui che si sistema per una gita in campagna. Fate un po’ voi…
Non lasciatevi ingannare dalla fotografia, che la fotografa si sa non è un gran ché. Fidatevi piuttosto della mia forma scolpita e smagliante, come del fatto che so di piacere. E mostratemi, non vedo l’ora! Sì, presentatemi, esibitemi, ostentatemi! Proprio con le vostre amiche più esigenti:  mi troveranno irresistibile.

tortino al cioccolato con crema di nocciolePer 1 tortino in stampo da budino classico capacità 750 ml, o 3 stampi da 250 ml

Ingredienti per il tortini: 100 g di burro, 50 g di zucchero semolato, 3 tuorli, 125 g di farina 0, 5 g di cacao amaro, 70 g di cioccolato fondente, 6 g di lievito, 50 g di zucchero a velo, 3 albumi, sale

Ingredienti per la crema di nocciole: 100 g di nocciole tostate, 40 g di cacao amaro, 150 g di burro, 200 g di zucchero di canna liquido (lo trovate nei supermercati nel reparto zuccheri)

Per decorare: granella di nocciole, nocciole, gelatina di albicocche

Spezzettate il cioccolato e fondetelo a bagnomaria o nel microonde (date 1 minuto di cottura a media potenza, mescolate bene a metà). Montate a neve la metà degli albumi con lo zucchero a velo, coprite e tenere da parte.  Nella planetaria o nella ciotola montate con la frusta il burro morbido e lo zucchero semolato, unite i tuorli uno alla volta e il cioccolato (raffreddatelo leggermente) fuso a filo. Unite gli albumi montati al composto di tuorli e cioccolato, molto delicatamente. Setacciate farina, lievito e cacao e amalgamateli. Aggiungete infine gli albumi rimasti non montati. Versate negli stampi ben imburrati e infarinati e cuocete a 170°C in modalità statica, placca a 1/3 (partendo dal fondo) per 40 minuti.
Preparate la crema riunendo tutti gli ingredienti nel mixer e frullando per 3 minuti.
Raffreddate il tortino per circa 30 minuti e sformatelo sulla gratella. Pennellate i bordi con la gelatina di albicocche e ricopriteli con la granella di nocciole. Servitelo a fette con la crema di nocciole a parte; oppure decoratene la superficie aggiungendo delle nocciole a piacere.

Se farete questo dolce in stampini da muffin sarà lo stesso molto bello. Non lo presenterete come muffin perché, come dicevo, il muffin prevede una preparazione più veloce, ma sarà veramente gradito per un tè o una colazione. In previsione del freddo questi dolci dalle cromie delicate e dai sapori avvolgenti sono perfetti. Buona preparazione!

Felice giornata e sempre grazie di leggermi.

 

 

 

Baccalà alla biscaglina

Nasce Gadus Morhua ed è un predatore dell’Atlantico “freddo”. Vive da merluzzo o Cod o Morue; nuota da merluzzo; si riproduce “fregolosamente” come fa un merluzzo. Poi muore, da pesce,  assurgendo ad una notevole gloria postuma e prendendo almeno due nomi d’arte: stoccafisso e baccalà, oltre a qualche soprannome –  mio padre ad esempio lo chiamava bertagnì o pesce veloce del Baltico.  Stoccafisso e Baccalà, quindi, sono lo stesso pesce,  che viene sottoposto a due procedure diverse: essicazione o salagione. In particolare, per dare giusto lustro alla sua gloria, viene chiamato stoccafisso se seccato all’aria bella fresca e secca – appunto – delle isole Lofoten, secondo una procedura antica e vichinga  in vigore ancora oggi.
Viene altresì chiamato baccalà, se messo a conservare sotto sale, secondo l’uso  dei pescatori Biscaglini o Baschi che, sulla rotta delle balene, scoprirono vicino all’isola di Terranova, anticamente chiamata Bacalao, banchi infiniti di merluzzi e li conservarono sotto sale per trasportarli – come del resto facevano con le balene.
Lo stoccafisso è assai pregiato, il baccalà un po’ meno, ma entrambi si prestano a molte gustose ricette. Mi piace dedicarvi questa, tradizionale della cucina basca, una tra le migliori in fatto di preparazione del baccalà.
Se  vi trattiene dal ripeterla il lungo procedimento per rinvenire il merluzzo –  in questo caso per dissalarlo – sappiate che, al giorno d’oggi, si trova già pronto e meno male. Il vostro pescivendolo si ostina  a darvelo da trattare? Nulla da dire, è più canonico, ma provate almeno per una volta a cambiare negozio.
Se la necessità ha aguzzato l’ingegno nel trovare i  giusti metodi per conservare questo tesoro del mare e l’ingegno ha poi percorso  vie più comode per cucinarlo,  è giusto approfittarne. Buona preparazione!

 

baccala alla biscaglina

per 4 persone

Ingredienti: 500 g di baccalà, 200 g di pomodorini, 2 spicchi di aglio, 2 dl di olio di oliva extravergine, prezzemolo tritato abbondante, farina bianca
Tempo di preparazione: 20 minuti

Se il baccalà necessita di essere dissalato, dategli una prima abbondante sciacquata con acqua fredda. Lasciatelo a bagno per 2 giorni, coperto in frigorifero, cambiando l’acqua molto spesso. Prima di usarlo sciacquato nuovamente e asciugatelo con carta da cucina.

Dopo averlo dissalato, eliminate la pelle con un coltello affilato e, se ci sono, le lische; poi tagliatelo a pezzi. Lavatelo e asciugatelo più volte con carta da cucina. Infarinatelo e doratelo in olio bollente per circa 8 minuti. Togliete i vari pezzi dalla padella e teneteli da parte. Tritate l’aglio molto finemente e i pomodorini a metà. Versateli nello stesso olio del pesce, cuoceteli per 5 minuti. Schiacciateli con una forchetta, conditeli con sale, pepe, un pizzico di zucchero e proseguite la cottura per altri 5 minuti. Servite il pesce cosparso con la salsa ai pomodorini e abbondante prezzemolo tritato.

Che sia per tutti un’ottima giornata!