Oggi ho fatto niente…

Snoopy, grande filosofo e profondo conoscitore dell’animo umano e dei suoi reconditi anfratti, come pure delle sue fasi rapsodiche, un giorno ebbe a dire: “Oggi ho fatto niente, perché ieri avevo fatto niente e dovevo finire”.
Propongo a tutti quelli che hanno il loro bel daffare , una ricetta non di cucina veloce, bensì velocissima. Guardiamo avanti: questo va ben al di là del cotto e mangiato, che dire… è praticamente pronto da mangiare.
Torniamo indietro: Snoopy, da saggio qual’ è, pensa inoltre che bisogna sempre finire quel che si comincia e, da oculato previdente, non rimanda mai a domani quello che può fare oggi. Bisogna saperlo.

 gnocchi alla fonduta di grana e bottarga

Gnocchi alla salsa di parmigiano e bottarga

Per 1 persona molto affamata
Occorrenti: pentola, padella
Ingredienti: 200 g di gnocchi di patate pronti,100 g di salsa al formaggio parmigiano pronta,1 cucchiaino abbondante di bottarga in polvere, sale, acqua di cottura q.b
Grado di difficoltà –  facilissimo
Tempo di preparazione: dai 3 minuti ai 5 minuti*
Mentre portiamo a bollore l’acqua salata – consideriamo 1,5 lt di acqua e 10 g di sale grosso – apriamo il blister degli gnocchi,  la bustina della bottarga e il contenitore della salsa. Prendiamo la padella e versiamo la salsa, nella quantità che ci aggrada. Vuotiamo gli gnocchi nell’acqua bollente, accendiamo il fuoco sotto la padella. Dopo circa 1 minuto gli gnocchi inizieranno a salire, allora prendiamo la schiumarola e li raccogliamo, scolandoli man mano, per gettarli nella salsa. Mescoliamo bene tutto con il fuoco al minimo e versiamo nel piatto. Spolveriamo con la bottarga.
Ricordiamo di metterci almeno il grembiule, così non sporchiamo il pigiama.

Tutti i prodotti pronti si possono fare in casa. Non è, invece, sempre vero il contrario. E di questo prendetene buona nota.

*Se cucinate con l’induzione, i tempi si accorciano ulteriormente.

Auguro a tutti voi una giornata alla Snoopy.

“Cucina tra le righe” il blog di Giuliana Lomazzi

Oggi, sono onorata di ospitare il primo post di un blog neonato: “Cucina tra le righe” e ringrazio di cuore Giuliana Lomazzi, che ne è l’autrice, per avermi scelto in veste di madrina.
Ve la presento in poche parole, anche se poche parole su di lei non sono sufficienti:
Giuliana è una scrittrice di alimentazione e cucina. La sua, è una preparazione completa, che va ben oltre e lo sottolineo. Sono infatti innumerevoli i libri che ha scritto, tra i quali: ” IL GRANDE LIBRO DEI DOLCI”, che vi è già stato consigliato e del quale spesso approfitto; oltre a libri specifici di alimentazione e dietetica. È inoltre giornalista e traduttrice.
Il suo sarà un blog…non vi anticipo nulla. E’ tutto da vedere.
Se avete interesse per le ricette sane e gustose, eseguite con prodotti innovativi e particolari, sarete accontentati e informati.
Questa è la prima di molte altre, ed è tutta per Mamma, che buono!. Enchanté.

Dall’autrice:
Zucchine orientali

zucchine giuliana

Non immaginatevi cupole a cipolla o incantatori di serpenti, le mie zucchine sono ben più prosaiche e rivelano l’urgenza di trovarmi in poco tempo un piatto pronto senza dover spadellare troppo, nonché il desiderio di fare qualcosa di un po’ diverso dal solito. Vi sembrano cose inconciliabili? Ora vi dimostrerò il contrario.

Zucchine con falafel

Prendi il preparato in polvere per i falafel (ho usato mezza bustina), stemperalo con l’acqua necessaria (come suggerisce la confezione) e lascialo riposare. Intanto lava e asciuga 3-4 zucchine, falle cuocere per 10 minuti a vapore. Non appena si possono toccare dimezzale per il lungo e togli la polpa. Salale un po’ all’interno, farciscile con il composto per i falafel e mettile su una teglia. Tutt’intorno disponi la polpa tagliuzzata con uno spicchio di aglio. Sale ed erbe aromatiche, qualche cucchiaio di vino bianco mescolato con poca senape, un filo di extravergine e via, in forno per 15-20 minuti.

E mentre le zucchine cuocevano io avevo già lasciato il mestolo per dedicarmi alla penna…

Questo primo post del mio nuovo blog, breve ma appetitoso, è dedicato all’amica Rosita Ghidini Bosco, bravissima cuoca e pasticcera, autrice del libro e del blog Mamma che buono”. Grazie, Rosita, per l’ospitalità sul tuo blog! https://mammachebuono.wordpress.com/2012/09/17/la-spesa-di-settembre-mela/Arrivederci a presto con il prossimo post, si parlerà di patate a falce di luna.

Buongiorno cara amica speciale, mi incuriosisci. Voglio sapere tutto su questa “chicca” delle patate speciali con la forma della luna, che mi piace pensare nascente.
Grazie ancora! Da parte mia e dei miei lettori. Attendiamo tutti le tue interessanti novità.

Ma sì…facciamoli sposare

Se avete dei dubbi su questo matrimonio, io vi garantisco che potete dormire sonni tranquilli: riuscirà.
Mettendo tutto il buono dell’uno e dell’altra, che in fondo sono fatti della stessa pasta, non avremo grosse sorprese, salvo imprevisti.
Così nell’ ipotesi, in qualsiasi caso sbagliata, di fare poco di uno e poco dell’altra meglio che scegliamo di sposarli. Fusilli e penne lisce; farfalle e cellentani ; viti e tortiglioni; ci siamo capiti. Quelli che rimangono lì, mezzi e mezzi, dimenticati in fondo al contenitore, senza completamento: ma sì… facciamoli sposare.
Il matrimonio della pasta è fuori moda, ma va sempre a gonfie vele. Di foggia tradizionale o in stile innovativo che sia, costituisce uno stratagemma indovinato per poter dare un taglio al passato e guardare avanti, a nuovi formati. Poi, si sa, è una ruota.
Sarebbe ideale usare formati che abbiano lo stesso tempo di cottura, ché chi si somiglia si piglia. Ma non è sempre detto.
E se i formati sono più di due? Bene lo stesso.
Niente illazioni, per cortesia. È comunque un matrimonio.

Pasta sposata con scamorza e prosciutto

pasta risottata

E’ la versione asciutta della più famosa minestra di pasta maritata. L’abitudine di raccogliere i rimasugli nelle scatole della pasta e farne la minestra, ha dato origine a dei veri e propri formati di pasta da minestra mista.

Per 4 persone

Occorrenti: pentola, casseruola, tagliere, grattugia
Ingredienti: 300 g di pasta mista, 4 cucchiai di olio di oliva, 2 patate medie, 1 cipolla, 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 spicchio di aglio, 80 g di scamorza affumicata, 100 g di prosciutto cotto, lt 1, 5 di brodo vegetale, 3 cucchiai di parmigiano grattugiato, 30 g di burro, sale e pepe
Tempo di preparazione: 25 minuti (la cottura può variare rispetto al formato di pasta adoperato)
Grado di difficoltà: medio

Sbucciamo le patate e le tagliamo a piccoli pezzi. Sciacquiamo le altre verdure, le mondiamo e le tagliamo  a tocchetti come per il soffritto. Spelliamo e tritiamo anche lo spicchio di aglio. Tagliamo il prosciutto cotto a striscioline.
Nella casseruola scaldiamo l’olio con l’aglio, aggiungiamo il prosciutto cotto e lo facciamo rosolare brevemente. Aggiungiamo anche le altre verdure e mescoliamo per insaporire.
Versiamo la pasta mescoliamo e iniziamo ad unire il brodo un po’ per volta. Portiamo a cottura come faremmo per un risotto.
Per concludere regoliamo di sale e  togliamo dal fuoco. Uniamo la scamorza, il burro, il grana e mantechiamo; avendo cura di versare  ancora un po’ del brodo per favorire una cremosità maggiore. Serviamo ben caldo dando una spolveratina di pepe.

Variante: se la volete più grintosa potete usare al posto del prosciutto cotto della pancetta affumicata.

Torta alle pere e cannella dal matrimonio

torta di pasta lessa

Per 6 persone

Occorrenti: pentola, frullatore, ciotola, frullino elettrico o robot da cucina, tortiera diam. 22 cm
Ingredienti: 60 g di pasta mista lessata e frullata, da cui otterrete circa 180 g di frullato di pasta, 3 pere , 2 cucchiai di succo di limone, 1 cucchiaino di cannella in polvere, 80 g di burro, 130 g di zucchero + 1 cucchiaio,  2 tuorli, 2 albumi, 80 g di fecola
Grado di difficoltà: facile
Tempo di preparazione: 15 minuti più cottura

Lessiamo la pasta in acqua non salata e la frulliamo aggiungendo acqua di cottura fino ad ottenere un amalgama morbido, che terremo da parte.
Sbucciamo le pere e le tagliamo a pezzetti, le mettiamo in una ciotola e le condiamo con il succo del limone.
Montiamo il burro con lo zucchero fino a renderlo spumoso poi uniamo i tuorli ben freddi. Sempre montando, aggiungiamo anche la purea di pasta e la fecola setacciata.  Montiamo gli albumi e li uniamo con una spatola al composto. Infine versiamo le pere e mescoliamo con cura.
Imburriamo e infariniamo la teglia, versiamo l’impasto e inforniamo a 170°C, in modalità statica, per 35 minuti.

Non mi rimane che dire: Evviva gli sposi! e augurarvi una splendida giornata.

Gallina lessa fa…buon brodo e di più

Al tempo di Pierulì, che era lontano, la gallina aveva una vita spericolata e una morte eroica. Dopo essersi litigata il nido e il gallo con le sue coinquiline e covato a più non posso, trascorreva i suoi ultimi momenti correndo all’impazzata per l’aia, prima che Pierulì l’acciuffasse e le tirasse il collo con forzata nonchalance.
A lui dispiaceva molto doverlo fare ma, da che il mondo era tale, la gallina si mangiava.
Al tempo di Pierulì,  possedere galline era ricchezza e mangiarle una leccornia. Le galline non facevano solo le uova, erano bensì fornitrici di: piume, carne e perfino compagnia. E, poiché nulla si buttava, della gallina così come del maiale si usava tutto: magone, fegato, cuore, polmoni, reni, zampe, creste, barbigli, collo e testa; la pelle, il grasso, le budelle, le uova non formate. Perfino il sangue veniva assemblato con panna, uova, amaretti, zucchero e spezie per farne un dolce fritto.
Al tempo di Josè Antonio (Banderas), che è vicino, la gallina può avere un nome di battesimo – come il mio – e stare in “tivvù”. Tutto molto pittoresco.
A dispetto di ciò, che pare assai bucolico, ma che bucolico non è, trascorre una vita stipata e muore comunque, da incosciente, senza che “niuna persona” se ne dispiaccia. La gallina di Banderas fa solo le uova.
Non sono in verità, i nostri, tempi da gallina lessa, per motivi igienici e, diciamolo pure, pratici (i tempi di preparazione sono molto lunghi).
Nonostante ciò, se riusciamo a procurare una gallina ruspante da allevamento controllato, la galina co’ l’empiom  è sempre un ottimo piatto, che vale per due o tre e può risolvere un intero pranzo di festa. Buona preparazione!

Gallina lessa ripiena

gallina ripiena

Occorrenti: pentola cm 26 di diametro, tagliere, ago e spago da cucina o stecchini, trinciapollo
Ingredienti: 1 gallina di 1 kg almeno (ruspante, già eviscerata), 300 g di ripieno, 1 cipolla, 1 carota, 1 gambo di sedano
Ingredienti per il ripieno: 150 g di formaggio da grattugia misto, 100 g di pane grattugiato, fegato della gallina (facoltativo) previamente brasato in padella con burro e sfumato con vino bianco, 30 g di burro, 1/2 lt di brodo(vegetale o di carne), 2 cucchiai di cipolla tagliata molto sottile, 1/2 spicchio di aglio, 2 cucchiai di prezzemolo tritato
Tempo di preparazione: 40 minuti + cottura
Il mio consiglio è quello di acquistare la gallina ruspante dal macellaio, che provvederà ad eviscerarla, preparandola per accogliere il ripieno. Non siete obbligati ad utilizzare il fegato. Potrete usare, in sostituzione, della pasta di salame.
Prepariamo il ripieno: in una ciotola mettiamo il pane, il formaggio, una presa di sale, l’aglio schiacciato e il prezzemolo, aggiungiamo il brodo caldo e mescoliamo con una forchetta per amalgamare. In una padella facciamo rosolare la cipolla in 30 g di burro e aggiungiamo il fegato brasato, aggiungiamo  il composto di pane e formaggio e lo rigiriamo fino a che non avrà ben assorbito il burro.
Prepariamo la gallina:  bruciamo con un accendino le piume più corte che non sono state tolte. Laviamola molto bene sotto acqua corrente e mettiamola a scolare ; poi la asciughiamo con un canovaccio. Inseriamo il ripieno, cercando di non riempire in eccesso, per evitare che fuoriesca. Chiudiamo, cucendo la fessura con un ago da lana e spago da cucina o con degli stecchini infilati.
Mettiamo a lessare con le verdure iniziando a freddo. Schiumiamo il brodo (si forma una schiuma in superficie, quando giunge ad ebollizione, che va tolta con la schiumarola) e lasciamo cuocere coperto per tre ore, salando a metà cottura.
Avanzerà sicuramente del ripieno. Avvolgiamolo in un tovagliolo o nella carta forno e lasciamo cuocere con la gallina per 30 minuti. Possiamo perciò inserirlo in pentola prima della fine della cottura. Con il trinciapollo dividiamo la gallina in pezzi e la mettiamo in un piatto da portata, irrorandola con un po’ di brodo ben caldo. A parte serviremo il ripieno rimasto. Tutto molto caldo.
Nella bassa bresciana, forse per la vicinanza con Cremona e Mantova, si usa inserire nel ripieno dell’amaretto sbriciolato.

Minestra di mereconde o mariconde

mereconde

Per 6 persone

Occorrenti: casseruola, ciotola spatola
Ingredienti: 2 uova, 2 cucchiai di pane grattugiato, 2 cucchiai di parmigiano o formaggi misti da grattugia, 200 g di mollica di pane raffermo, 60 g di burro, tanto latte quanto basta a coprire il pane, noce moscata e sale
tempo di preparazione: 20 minuti + riposo + cottura
grado di difficoltà: facile

In una ciotola mettiamo la mollica del pane fatta a pezzi grossi e la copriamo con il latte, lasciando il tutto a macerare per almeno 30 minuti.  In una casseruola scaldiamo il burro, aggiungiamo il pane e il latte e  cuociamo a fuoco lento fino a che il latte non sarà stato assorbito. Togliamo il composto dal fuoco e aggiungiamo il formaggio, la noce moscata, le uova. Se il composto fosse troppo morbido aggiungiamo altro pane grattugiato. Mescoliamo e lasciamo riposare per mezz’ora. Formiamo con le mani delle palline grandi come una nocciola e lessiamo nel brodo della gallina ben sgrassato* per 5 minuti. All’impasto si possono unire della carne tritata della gallina lessa e verdure. Serviamo cosparso di formaggio grattugiato e prezzemolo.
Sono ottime anche asciutte irrorate con burro fuso e salvia.

*Il brodo della gallina: si filtra con della mussola o della garza sottile, leggermente bagnate. Poi si lascia riposare in frigorifero per una notte. Il giorno dopo il grasso rimasto si sarà solidificato e potremo toglierlo definitivamente.
Consigli: è buona cosa acquistare la gallina ruspante dal macellaio, che provvederà ad eviscerarla, preparandola per accogliere il ripieno. Non siete obbligati ad utilizzare il fegato. Potrete usare, in sostituzione, della pasta di salame.
La biancheria da cucina non andrebbe lavata con detersivi troppo profumati o ammorbidenti. È molto meglio usare come additivo l’aceto bianco, che è anche un buon disinfettante. Il profumo troppo forte potrebbe passare al cibo se li usiamo come ausilio in cucina. Nel dubbio usate carta forno.

Felice giornata a tutti.

Due delizie bresciane

Mi piacciono le librerie.
Mi piace la cucina regionale.
Mi piace, durante le mie ormai poche trasferte, andare in libreria e cercare ricettari della cucina locale. E sono quasi sempre accontentata.
Per ricettari intendo piccoli volumi, se tascabili è meglio, con le ricette tipiche; poco importa se non ci sono molti scritti introduttivi e spiegazioni. Voglio entrare con la mente e il cuore nella cucina di quel luogo attraverso le ricette, gli ingredienti, perfino le quantità. E se mi imbatto in ricette antiche, allora sì: solletico i miei sogni.
Spesso accade, però, che la stragrande maggioranza dei ricettari regionali nasconda l’insidia dell’approssimazione. Provando per la prima volta una ricetta, puoi rimanerne oltremodo deluso. Quanta fatica, per poi doverti accontentare di tutt’altro, rispetto a quel tripudio di colore e a quel sapore di territorialità che ti erano stati promessi.
Credo che alcune ricette regionali passino attraverso troppi anni di stasi pratica, che vengano trascritte da appassionati e pazienti archivisti senza essere collaudate, soprattutto le più sconosciute e proprio per questo più affascinanti.
Per quanto riguarda la mia Brescia e la sua cucina di tradizione c’è molto poco di scritto. Se io fossi un turista “gastronomadeappasionato”, alla ricerca della tradizione culinaria bresciana, non avrei soddisfazione e questo mi dispiace. Molto.
Infatti non mi è stato così semplice reperire fonti scritte certe per la mia piccola ricerca.  Gran parte delle ricette contengono ingredienti ora quasi introvabili, non citano le quantità e sono, passatemi il termine – strampalate.
Così è accaduto per queste due delizie che oggi vi propongo, per le quali ho dovuto adottare piccole forzature.
In cuor mio spero che quell’amore assoluto che nutro nei confronti della mia città e  il mio entusiasmo, mi abbiano aiutato nel fare un buon lavoro di ripresa.
Ma come si dice, a voi, che siete i miei posteri, spetterà l’ardua sentenza. Buona preparazione!

Torta bresciana di mandorle

torta bresciana alle mandorle

Occorrenti: ciotola, frustino elettrico o planetaria, spatola, tortiera rettangolare o quadrata
Ingredienti: 150 g di mandorle finemente tritate, 100 g di burro morbido, 50 g di amaretti tritati, 100 g di zucchero, 4 uova, 10 g di lievito, 30 g di fecola di patate, una presa di sale, zucchero a velo
Tempo di preparazione: 20 minuti + cottura
Grado di difficoltà: facile

In una ciotola uniamo il burro morbido e il sale allo zucchero e montiamo fino ad avere una crema morbida e spumosa, aggiungiamo uno alla volta i tuorli ben freddi, sempre sbattendo. Montiamo a neve gli albumi, uniamo al composto di burro e uova le mandorle gli amaretti e la fecola setacciata alternandoli all’albume montato. Infine setacciamo sull’insieme il lievito e amalgamiamo molto delicatamente . Imburriamo e infariniamo una tortiera rettangolare o quadrata e vuotiamo l’impasto. Cuociamo in forno a 180°C placca a 2/3 per 35 minuti. La torta andrebbe servita tiepida, ma è buona anche fredda. Prima di servirla la cospargiamo di zucchero a velo e la tagliamo a fette.

Biscottini di Benedetto

biscottini di benedetto

Benedetto Cirelli era il titolare dell’ omonimo ristorante, sito in quel di Barghe, sulla via verso Madonna di Campiglio.
Un oste dagli occhi di ghiaccio noto per la sua schiettezza, che non dava il tertium: o lo amavi o lo odiavi.  Ma era un vero oste: capace, diretto,senza orpelli; con la caratteristica di riempirti il piatto, perché non amava tornare in cucina con l’avanzo.
Mai, su di lui, lo spettro della benché minima crisi di nervi (forse a qui tempi non era cosi facile) anzi, sfoggiava  sempre un’invidiabile sicumera.
Fu una delle glorie autentiche della ristorazione bresciana. Uno tra i pochissimi che negli anni sessanta conquistò ambiti consensi e la segnalazione delle migliori guide gastronomiche italiane, fino a meritarsi la stella Michelin negli anni settanta.
La sua cucina era rigorosamente bresciana, fatta con i prodotti del territorio, che lui stesso si curava di procurare presso i fornitori locali. Lo aiutavano la moglie – lumezzanese – e una sorella, completamente dedicate all’ingegnoso patron.
Indimenticabile il suo locale cucina, che fu tra i primi ad avere il previlegio di stare dietro a un vetro – il cliente poteva vedere tutto ciò che avveniva – e memorabile la cura e la pulizia del locale. Tra i piatti da ricordare: il capretto alla bresciana, la polenta teragna, i casonsei con la puina (una ricotta saporita, tipica delle nostre montagne) e questi biscotti, che offriva con il caffè.
La ricetta che ho reperito su un vecchio ricettario non tiene fede all’originale e,
che il signor Benedetto mi perdoni, o dovuto appore piccole rettifiche.

Per circa 60 biscotti

Occorrenti: placca da forno, carta forno, ciotola, spatola
Ingredienti: 250 g di farina 00, 50 g di crusca di frumento , 120 g di burro, 100 g di zucchero semolato, vaniglia, sale, 2 tuorli, 2 albumi montati a neve, latte q. b., la punta di un cucchiaino di carbonato di ammonio
tempo di preparazione: 40 minuti
grado di difficoltà: facile

Con la spatola mescoliamo il burro con lo zucchero, il sale e la vaniglia. . Aggiungiamo i tuorli, le farine setacciate, il carbonato e un goccio di latte, per ottenere un impasto morbido. Aggiungiamo infine gli albumi montati a neve. Questo impasto non si stende con il mattarello.
Stendiamo l’impasto direttamente sulla placca  aiutandoci  con il dorso di un cucchiaio leggermente bagnato ad un altezza di 4 mm. circa. Cuociamo per 10 minuti in forno, placca a metà, a 180°C. Sforniamo e tagliamo a piacere con la rotella dentata. Rimettiamo ancora in forno a 200°C fino a doratura.

Buona giornata!

Melanzana: qualcosa da nascondere

Nel mio dizionario delle  verdure la melanzana simboleggia il segreto, il mistero, l’arcano: qualcosa che si nasconde o che desideriamo nascondere.
Conviviamo con i misteri per gran parte della nostra vita: grandi misteri che affascinano e che accettiamo; piccoli misteri che disorientano e mal sopportiamo, presi dal bisogno di avere tutto sotto controllo.
Dal canto suo, la melanzana  non vorrebbe essere coinvolta in faccende misteriose. Preferirebbe vivere tranquilla la sua vita di melanzana o, se proprio necessario, essere chiamata in causa per questioni meno scottanti di quelle dei segreti, che danno fastidio a chi li congettura e richiedono impegno per chi li deve custodire. Che lavoro!
Ma oramai il mistero aleggia nell’aria e sta seguendo il suo corso; il segreto è a fior di pelle, come un’inopportuna orticaria.
Badate bene: se sono tre giorni che mangiate melanzane – anche la melanzana è davvero esausta d’andare e venire – prestate molta attenzione a come vi state muovendo: siete sul punto di essere scoperti.
Touchés.

Terrina di melanzane al basilico, origano e ricotta

terrina di melanzana

Tiepida o fredda e un’ overture  ideale per una cena di fine Estate. Oppure può essere un secondo: sicuramente vegetariano.

Occorrenti: stampo da plum cake, ciotola, spatola, colapasta
Ingredienti: 2 melanzane tonde, 400 g di ricotta di pecora o vaccina, 60 g di grana grattugiato, 15 foglie di basilico, 1 cucchiaino colmo di origano secco, 1 spicchio di aglio, 30 g di olio di oliva
Tempo di esecuzione: 1 ora+ cottura + riposo
Grado di difficoltà: medio
Calorie per una porzione di circa 100 g 280

Spuntiamo e laviamo le melanzane. Togliamo parte della buccia, le tagliamo a fette spesse circa 1/2 cm. Le accavalliamo all’ interno di un colapasta, saliamo con del sale grosso e le lasciamo per circa un’ora, così da fargli perdere l’acqua di vegetazione e il gusto leggermente amarognolo.
Sciacquiamo poi le melanzane sotto l’acqua corrente fredda le asciughiamo sommariamente e le disponiamo sopra a  dei canovacci puliti affinché perdano l’umidità residua.
Laviamo e sciughiamo anche il basilico, ne preleviamo 5 o sei foglie e le mettiamo nel mixer assieme all’olio e all’aglio sbucciato. Frulliamo fino ad ottenere una salsa omogenea. Grigliamo le fette di melanzana sulla piastra, deponendole man mano in un piatto; copriamo con pellicola e nel frattempo prepariamo la crema di ricotta.
Mettiamo la ricotta nella ciotola e aggiungiamo il sale e il parmigiano. Uniamo 2 cucchiai abbondanti della miscela olio e basilico. Foderiamo il fondo e le pareti della stampo con le fette di melanzana, inseriamo 3 cucchiai di ricotta condita e formiamo degli strati (dovremmo riuscire a farne almeno 3). Chiudiamo ripiegando le fette di melanzana e copriamo con pellicola di alluminio.
Cuociamo in forno statico griglia a metà per 40 minuti a 180°C. Sformiamo quando è tiepido su un piatto da portata. Tagliamo a fette e serviamo cosparso di salsa al basilico. E, per un tocco finale di eleganza, tostiamo dei pinoli, tritiamoli grossolanamente e spargiamoli nel piatto.

Curiosità: la melanzana ha un azione stimolante e depurativa per il suo alto contenuto di acido clorogenico che è un potente antiossidante. Questa sostanza tonifica vene e arterie, aiuta ad abbassare il colesterolo e i trigliceridi; inoltre favorisce l’assorbimento dei sali minerali.

Grazie di leggermi.

  

Dirlo con il cuore

E’ un modo assai originale per farli sentire speciali: creare un dolcetto ad hoc.
E’ un modo molto divertente per l’esecutore e stupefacente per chi riceverà questo pensiero, perché non capita tutti i giorni di sentirsi unici e particolari.
E non è un modo difficoltoso: basta un unico impasto e la vostra fantasia per i cuori; un unico impasto di buona consistenza che li sostenga, affinché non precipitino o si spezzino.
Solo qualche idea per voi, perché so che siete già molto ferrati in fatto di cuori: la fantasia e la voglia incontenibile di dirlo con il cuore già vi appartengono e vi illumineranno.
Buona preparazione!

Muffin cuore nero al rum, per Efrem

muffin con cuore al rum

per circa 12 muffin

Occorrenti: ciotole, spatola, forchetta, porzionatori da ghiaccio, bagnomaria
Ingredienti per l’impasto dei muffin: 300 g di farina, 200 g di zucchero, 100 g di burro, 70 g di cacao, 2 uova, 1 bustina di lievito, 1,5 dl di latte, una presa di sale
Ingredienti per il cuore: 50 g di cioccolato fondente, 25 g di panna, 25 g di zucchero,1 tuorlo, 2 cucchiai di rum
Grado di difficoltà: medio

Preparazione del cuore: montiamo il tuorlo con lo zucchero. Facciamo fondere il cioccolato a bagnomaria, togliamo dal fuoco, lasciamolo intiepidire e aggiungiamolo all’uovo, mescolando fino a che non sarà ben assorbito. Infine inseriamo il rum e la panna. Versiamo il composto in forme da ghiaccio possibilmente rotonde e mettiamo in freezer per almeno 1 ora.
Preparazione dell’impasto per muffin: nella prima ciotola sciogliamo il burro a bagnomaria e aggiungiamo le uova e il latte. Nella seconda ciotola mescoliamo la farina il lievito, il cacao setacciato, lo zucchero e la presa di sale. Quando avremo ottenuto una polvere uniforme, aggiungiamo il composto liquido e mescoliamo con una forchetta per ottenere un amalgama dalla consistenza abbastanza densa. Ungiamo leggermente le impronte dello stampo e inseriamo un cucchiaio di impasto. Estraiamo dal freezer i cuori e li poniamo sullo strato di impasto, coprendo poi con un altro cucchiaio di quest’ultimo. Cuociamo in forno statico a 180°C, placca a metà per 20 minuti.

Muffin cuor di limone, per Laura

muffin cuore di limone

per 12 muffin

Occorrenti: bagnomaria, ciotole, spatola, frustino elettrico, stampo da muffin
Ingredienti per l’impasto: 350 g di farina,100 g di zucchero semolato, una presa di sale 150 g di burro, 2 uova, 1 bustina di lievito, 150 g di latte
Ingredienti per il cuore di limone: il succo di 1 limone +buccia, 60 g di burro, 2 uova, 100 g di zucchero semolato
grado di difficoltà: medio

Preparazione del cuore di limone: prepariamo un bagnomaria. In una ciotola montiamo le uova con lo zucchero, aggiungiamo il succo del limone filtrandolo, e il burro. Scaldiamo fino ad addensare. Versiamo in una ciotola molto fredda, copriamo con della pellicola a contatto e raffreddiamo.

Preparazione dell’impasto: montiamo il burro morbido con lo zucchero, aggiungiamo i tuorli. Copriamo e teniamo da parte. Setacciamo la farina con il lievito e uniamola al composto alterandola al latte. Uniamo infine gli albumi montanti a neve. Ungiamo leggermente le impronte dello stampo da muffin e versiamo un cucchiaio e mezzo di impasto. Inseriamo un cucchiaino abbondante di lemon curd ben freddo e copriamo con un po’ di impasto fino a ricoprire il cuore Cuociamo in forno statico a 180 °C, griglia a metà per 20 minuti. Servire il muffin cosparso di zucchero a velo mescolato a cannella.

Muffin al cuor di biscotto, per Maila

muffin cuore di biscotto

per circa 12 muffin

Occorrenti: ciotole, spatola, frustino elettrico o impastatrice, o robot da cucina
Ingredienti per il cuore di biscotto: crema di biscotto speculos, oppure 10 biscotti speculos e 20 g di burro
Ingredienti per l’impasto: 125 g di burro, 125 g di zucchero semolato, 1 presa di sale, 2 tuorli + 2 albumi, 250 g di farina, 1/2 bustina di lievito, 1/2 bicchiere di latte
Grado di difficoltà: medio

Preparazione del cuore di biscotto: tritare finemente i biscotti e mescolarli al burro morbido, formare delle palline e raffreddare.

Preparazione dell’impasto: montare il burro morbido con lo zucchero e la presa di sale. Aggiungere uno alla volta i tuorli e continuare a mescolare. Inserire a mano la farina setacciata con il lievito. Per ultimo unire gli albumi montati a neve. Ungere leggermente le impronte per muffin.Versare 1 cucchiaio e mezzo di impasto nelle impronte, aggiungere il cuore di biscotto e coprire altro impasto. Infornare a 180°C placca a metà per 20 minuti. Servire cosparso di zucchero a velo e cacao.

Alcuni chiarimenti: l’impasto ideale per questi dolcetti -nero o bianco non ha importanza- è quello del muffin; indicato anche quello del plum cake. Il cuore può essere costituito da marmellata, frutta o crema. Non è necessario distinguere i dolcetti in cottura, perché vanno serviti tagliati a metà, proprio per sottolinearne la particolarità.

Inoltre – questo non è un chiarimento, ma un atto di volontà- vi prometto miei cari lettori, che farò di tutto per migliorare le fotografie: riconosco di essere negata. I miei tentativi tesi al progredire, sono stati quasi vani. Proverò a metterci il cuore.
Buona giornata a tutti!

O avanti con l’amore, o ‘ndre la me conecia !

Dalle mie parti, in tempi nemmeno tanto antichi, avere un po’ di terra e degli animali da allevare significava essere ricchi. Infatti, chi non aveva la possibilità di poter coltivare o allevare, era ritenuto molto sfortunato e non aveva quasi mai di che nutrirsi. Grande valore avevano gli animali, ai quali era davvero riservato un trattamento speciale, quasi fossero membri della famiglia.
Tutto ciò è ben evidente in questo racconto, che ho tratto da una storia vera e il cui titolo è effettivamente un modo di dire, usato nel caso in cui chi fa una promessa non si impegni poi a mantenerla.

Era un padre premuroso per quei tempi: solerte e presente nella vita semplice di quelle cinque figlie, tutte cercate, in verità, inseguendo il sogno di un maschio.
Nata l’ultima, dopo un parto degno di essere trascritto negli annali per le fatiche di quella donna speciale che era sua moglie, avevano pensato di chiudere quel sogno dentro un robusto cassetto, con tutte le speranze e i desideri insieme.
Disse lei: “…non la voglio vedere! Mettetela nell’armadio.”.
Disse lui: “Sei speciale e ti amerò comunque. Non sei Luigi, sarai Luigina! “,  prendendola teneramente tra le sue braccia potenti.
E lei, speciale lo era, foss’ anche solo per quella zazzera di capelli neri che spiccava insolente tra le chiome dorate delle sue sorelle.
Che padre e marito fortunato che era. E quando guardava estasiato tutta quella femminilità, non gli importava poi molto di non avere avuto eredi maschi. Pensava che c’era la salute, la voglia di fare ed era più che contento. Il suo cognome lo avrebbero portato quelle dolci e adoranti figliole, che gli avrebbero dato bravi generi e  robusti nipoti.
E così fu, per le prime quattro, ché quell’ultima, moretta, del matrimonio non voleva saperne, almeno così pareva.
Ma proprio quando aveva quasi perso ogni speranza di poterla ben sistemare – in cuor suo aveva perfino pensato di mandarla monaca, ma questa non era decisione da poter prendere…così –  lei lo sorprese, quella sera, mentre tornavano dal campo.
Era stata una giornata molto faticosa e non s’aveva nemmeno voglia di parlare per la gran stanchezza, che quasi si dormiva: lei se ne stava con il capo chino, lui guardava la strada tenendo ben salde le redini; ci avrebbe pensato il rumore degli zoccoli dei cavalli a tenerli desti. Insomma, voglia di parlare proprio non ce n’era.
Varcato il cancello, scesero:  lui davanti e lei dietro si avviarono verso la porta di casa. Fu in un fil di voce, talmente esile da non sentire, che lei gli disse: “Papà…mi vorrei sposare”.
“Cos’hai detto?”
“Mi voglio sposare!” e alzò finalmente la voce, in preda ad un insolito accesso di volontà.
“Va bene, ma con chi?”
“Con il figlio del Piero”.
Il Piero era figlio di suoi parenti lontani, che abitavano all’altro capo del paese. Era da molto tempo che non lo si vedeva in giro, da quando era partito per fare il soldato in marina. Ora si sapeva che era tornato.
La famiglia era buona: un podere proprio, gli animali, mai una chiacchiera.
Poteva proprio andare bene per la sua moretta. E poi, quella figlia, non poteva aspettare molto tempo o sarebbe rimasta a far da zia ai tanti nipoti: zittella, la Luigina, non doveva restare.
Così, preso atto della situazione, pensò che il ragazzo avrebbe dovuto essere invitato a casa e presentato alla famiglia, come usava nelle case per bene. Questa era la cosa più giusta e immediata da fare, senza tanti preamboli.  Non si chiese nemmeno come quei due ragazzi avessero potuto frequentarsi: lei sempre a casa e lui sulle navi e accettò la sorpresa di buon grado, per la bontà della scelta o per la fretta. Poi – si disse – si sarebbero conosciuti meglio. Poi.
Quella sera, dopo cena, parlò con la Teresa sua moglie e si misero d’accordo per far venire l’Antonio, così si chiamava il marinaio, a casa, la sera dopo.
Nessuno avrebbe immaginato che tutto il disordine dei preparativi per la grande cena del ricevimento, si ricomponesse poi nella tranquilla e grande tavolata che l’Antonio trovò ad accoglierlo: c’erano tutti, anche i bambini, biondi e ricci. Davvero attorno a quel tavolo l’unica nota stonata era la chioma liscia e nerissima della Luigina.
E fu una specie di interrogatorio. Sembrava che lì parlasse solo il futuro suocero.
Facendosi coraggio  l’Antonio spiegò come si erano conosciuti e disse che la Luigina lo aveva colpito per le lettere che gli mandava in guerra, piene di buoni sentimenti, unica  sua consolazione  quand’ era solo e triste, chiuso in quelle navi. Tali e solo queste parole riuscì a proferire, per il resto…
“Devi portare questa come mio regalo alla famiglia e che tu sia il benvenuto.  Si chiama Tripoli ed è incinta”.
Il regalo in questione era una bella coniglia nera, che avrebbe presto figliato. Non era molto generoso solitamente, ma per la Luigina doveva fare bella figura e quello era solo il primo pezzetto della sua dote,  simbolo di futura prosperità e augurio di tanta maternità. Certo che gli costava privarsene, ma comunque…
Ma comunque l’amore non si compera e questo lo sapeva pure lui, che era uomo pratico, ma di mente assai arguta e di spirito attento, tanto da capire per primo che quella “figlietta” mora, nonostante tutto, fosse ben lungi dalla felicità.
Doveva essere per forza accaduto qualcosa tra i novelli fidanzati e non ci volle molto a capirlo, perché l’Antonio non si fece più vedere da quella sera e la Luigina per poco non moriva di tristezza. Sola prima e sola adesso, proprio quando invece avrebbe dovuto godersi le gioie del suo insperato e repentino fidanzamento.
Sicché, questa volta, lei non lo sorprese. Stessa scena di ritorno dal campo, dopo circa due settimane dalla cena per l’Antonio.  Uguale la stanchezza, preciso il silenzio, stessi zoccoli dei cavalli. Fu lui però ad iniziare e a malincuore, ché già prevedeva la risposta e già sentiva montargli la rabbia.  Tuttavia cercò di essere il più comprensivo possibile, per non acuire la pesantezza dell’atmosfera e così parlò:
“Dov’è che è andato a finire l’Antonio?!”.
“…non mi vuole più”.
“Non ho capito niente. Ripeti per favore”.
” Non mi vuole, più!” e ancora, per un insolito accesso d’ira, le parole fievoli mutarono in un urlo soffocato.
Se qualcuno in quel momento avesse potuto percorrere le forti vie del suo sangue, non avrebbe trovato altro che limpida acqua gelida: limpida perché era un padre, gelida perché era pur sempre un uomo. Rispose solo: “…ah!”.
Solcarono la soglia, lui davanti e lei dietro.
“Teresaaa! Preparami il bagno!”- gridò.
E la Teresa, lì per lì, fu presa da ansia e si preoccupò: “Era forse malato? aveva preso le zecche nel campo?aveva un’altra donna? – esitò.
“Ma…è pronto in tavola!?” – disse.
“Ti ho detto di prepararmi il bagno!”.
Si sa che la rabbia bisogna coglierla, come tutte le altre opportunità della vita. Anzi, andrebbe addirittura capitalizzata per spenderla nel momento adatto e questo momento adatto lo era davvero; ma se proprio doveva andare da quel furfante, ci sarebbe andato come alla sagra del bue grasso: pulito e profumato.
Non gli servivano spiegazioni in merito al rifiuto: un buon padre si fida sempre delle sue creature, non ha bisogno di ragionamenti e stravolgimenti. Così, davanti alla moglie a alla figlia che lo guardavano stupite, infilò la porta e se ne andò, sbattendola pesantemente.
Ci sarebbe andato a piedi, senza il carretto, dal Piero. La rabbia doveva avere il tempo di salire, di ribollire come il pentolone del vin brulé, come il latte che traboccava sulla stufa al mattino. Doveva agire in fretta, anzi in frettissima, prima che la sua creatura moretta perdesse la sua innocenza per un farabutto e lui perdesse la sua coniglia gravida per quegli ingrati.
“C’è l’Antonio, per caso?”, chiese alla Agata, madre dell’incosciente. E lo fece quasi cantando, per non tradire l’ansia a fior di labbra, vestito a festa lui, col grembiule e il fazzoletto in testa lei.
“…te lo chiamo…”.
Da come lei girò su se stessa, a testa bassa, lui seppe che aveva capito tutto.
L’ Antonio arrivò, puntellato dal padre.
Che pusillanime! Nemmeno riusciva ad affrontare da solo le sue ignavie: aveva bisogno del sicario. Solo allora si accorse di quanto fosse da schiaffi la faccia di quel biondino alto un soldo di cacio, da non  spiegarsi di come avesse potuto stare in mezzo al mare. Brutta razza di marinaio: tutti uguali i marinai, promettono e non mantengono, pensava.
” Ahhh… ci siete tutti e due?” e intanto andava considerando tra sé e sé che nemmeno l’aveva invitato ad entrare, come usava nelle case per bene. Per la vergogna? o forse perché pensavano di non essere alla sua altezza, già che stavano tutti e due in canottiera? Mah…
Tutti zitti. Pareva di stare al cinema: zitti, o stupiti, o terrorizzati…
Meglio così, avrebbe parlato solo lui, ché solo lui aveva il diritto di farlo e così parlò: “Non mi interessa di sapere: neanche vi meritate che io sappia le vostre cose. Ma a te, Antonio, ti devo dire una cosa e ti prego di guardarmi diritto, qui, negli occhi, se sei ancora un uomo, che non so io che cosa avrai fatto su quelle navi?! Tu, a  quella brava ragazza, le devi chiedere scusa per come ti sei comportato, hai capito?”.
“E te” – disse rivolto al Piero, che si guardava una macchia sulla canotta –  alza la testa, che ti pensavo un uomo d’onore e invece…senti bene, sai: o avanti con l’amore o ‘ndre la me conecia! (o avanti con l’amore o indietro la mia coniglia) “.
Coloro che quella sera si riposavano in piazza, lo videro che camminava lento, vestito come per il bue grasso. Teneva in braccio un enorme coniglio nero. Lo teneva come fosse una bambino. Lo baciava sul muso e si percepiva chiaramente che gli stava parlando.
Rispettosamente nessuno lo chiamò per salutarlo e per parlare della vendemmia, come al solito – sottolineo per rispetto – e lo lasciarono a quel suo particolare idillio.
“Troppo lavoro in questo paese. Troppo lavoro e troppo caldo che poi si esce di senno…” pensarono.
Ognuno se lo disse per conto proprio,  ma senza preoccuparsi.
Già sapevano che uno come lui si sarebbe ben presto rinsavito.

Rosita Ghidini Bosco

Polpette di coniglio

polpette di coniglio

Il coniglio è molto usato nella cucina bresciana di tradizione. E’ parte integrante degli spiedi e, da solo, messo ad arrostire o cotto in altri modi, è tuttora uno tra i piatti più consumati nella cucina casalinga. Ho preferito pubblicare la ricetta tradizionale delle polpette e non il coniglio arrostito, sapendo che molti non consumano coniglio per affetto o per questioni di gusto. Potete sostituire alla carne del coniglio altre carni bianche già cotte.

Occorrenti: ciotola, spatola, padella
Ingredienti: avanzi di coniglio, mollica di pane cotto nel latte, formaggio, aglio, prezzemolo, 1 uovo, olio, burro, brodo, salsa di pomodoro (facoltativa), sale q.b.
Tempo di preparazione: 10 minuti + cottura

Con gli avanzi di coniglio, circa 200 g,  arrosto, in umido, o lesso, preparate ottime polpettine, aggiungendo 4 cucchiai colmi di mollica di pane cotta nel latte, 2 cucchiai di formaggio grattugiato, uno spicchio di aglio tritato, sale a piacere, e un uovo sbattuto. Passatele nel pane grattato e friggetele in abbondante olio. Ripassarle poi in padella con burro e brodo per ammorbidirle e aggiungendo salsa di pomodoro se vi piace.

Sempre grazie di leggermi.

In modalità sbriciolo

Sono entrata in modalità sbriciolo.
La modalità è comunemente intesa come un modo di agire, di comportarsi e di fare, uno stato, un mood, quindi, oggi, tratterò delle briciole, che sono l’oggetto dello sbriciolare.
La briciola è il “pochettino”, il pezzettino di un qualcosa di più grande.
C’è chi le briciole le ha usate per necessità, cito ad esempio Pollicino, chi le briciole le usa per vezzo e chi le costruisce intenzionalmente.
Sbriciolando del pane paniamo la carne, il pesce e altro; fabbricando una briciola ad hoc avremo un crumble. E ancora: se andiamo a complicare, se pur di poco, il crumble, avremo la sbrisolona o le sbrisoline.
Ben vengano queste briciole per chi delle briciole si deve accontentare. In questo caso non avrà di che lamentarsi. In tutti gli altri casi alzi, e molto, la sua voce.
Buona esecuzione.

Il Crumble dolce

E’ una costruzione inglese della briciola ottenuta miscelando farina con burro e zucchero. La farina può essere di varia tipologia e composizione. Cruda, viene livellata sulla frutta, (tutta la frutta può andare bene) fatta poi cuocere lentamente in forno. Cotta, può essere cosparsa sullo yogurt, sul gelato, sui dessert. Il crumble crudo si conserva in frigorifero ben protetto per quattro giorni. Da cotto è un simil-biscotto e si conserva come tale.

Occorrenti: carta forno, teglia, ciotola spatola
Ingredienti: 250 g di farina, 250 g di burro, 250 g di zucchero semolato, 180 g di farina di mandorle
Tempo di esecuzione: 15 minuti + riposo + cottura
Grado di difficoltà: facile

Ammorbidiamo il burro. Per farlo abbiamo alcune alternative e, poiché non se ne dice mai abbastanza, vi dirò. Possiamo lasciarlo ammorbidire tagliandolo a pezzi piccoli o lasciandolo intero a temperatura ambiente, in un involucro (scoperto tenderebbe ad assorbire gli odori dell’aria) .Oppure lo scaldiamo nel microonde o a bagnomaria, facendo attenzione che non si sciolga, pena la perdita della sua plasticità. Io preferisco ammorbidirlo a temperatura ambiente, avendo l’avvertenza di non raffreddarlo nuovamente; per questo è meglio togliere dal frigorifero l’esatta quantità. Per verificare se il burro è pronto c’è una prova inconfutabile: il polpastrello del pollice che affonda nel burro ci dirà che è perfetto.
Amalgamiamo gli ingredienti all’interno della ciotola sabbiandoli. Sbricioliamo poi l’impasto su una placca rivestita con carta forno e facciamolo riposare almeno 2 ore  a temperatura  ambiente. Cuociamo in forno a 180° C fino a doratura (circa 15 minuti).

Il crumble salato

Questa briciola, costruita per pietanze salate, è ottima da cruda per gratinare carne, pesce e verdure, che prima devono subire una precottura. Cotta, può accompagnare yogurt, creme di formaggi, vellutate di verdura, minestroni, o essere messa nell’insalata fresca.

Occorrenti: ciotola, spatola, carta da forno, teglia
Ingredienti: 150 g di farina, 50 g di burro, 2 g di sale, a piacere sostituire parte della farina con grana o frutta secca
tempo di preparazione: 15 minuti + cottura + riposo

Per la preparazione seguire le stesse modalità usate per il crumble dolce.         

Sbricioline

sbricioline

Ecco la briciola ancora più “costruita”, perché arricchita con uova e liquore.
Con questa quantità potrete fare due torte, o una molto grande.
La tradizione vuole che debbano essere poi sbriciolate con un pugno per servirle. Io, per il semplice motivo che non uso violenza sulle mie creature, ho preferito fare delle sbricioline.

per circa 30 sbricioline

Occorrenti: ciotola grande, ciotola piccola, spatola, tritatutto, stampo da muffin, pirottini
Ingredienti: 300 g di farina 00, 75 g di farina di mais bramata, 150 g di burro, 75 g di farina di mandorle, 75 g di farina di nocciole, 150 g di zucchero, 5 g di lievito, 1 uovo intero, 20 g di rum o maraschino, 1/2 bacca di vaniglia
Tempo di preparazione: 20 minuti + riposo + cottura
Grado di difficoltà: facile
Calorie 130 per ogni sbriciolina da circa 30 g
Nella ciotola più piccola mescoliamo le polveri ( tutte le farine) e il lievito. Misceliamo nella ciotola grande il burro morbido, lo zucchero, una presa di sale, l’uovo e il liquore. Quando avremo ottenuto un amalgama uniforme aggiungiamo la miscela delle polveri, e impastiamo con la spatola fino ad ottenere un insieme di briciole. Copriamo e mettiamo in frigorifero per un paio di ore, passiamola quindi attraverso un setaccio a maglie larghe per ottenere delle briciole di dimensione uniforme – nel caso in cui le preferite differenti non passatele nel setaccio -. Con l’aiuto di un cucchiaio disponiamo il composto negli stampini da muffin leggermente imburrati, o nei pirottini. Decoriamo con una mandorla intera con la buccia o una nocciola tostata. Cuociamo in forno statico placca a metà con il portello in fessura per 20 minuti.
Serviamo con un buon passito.

Buona giornata!