Gli uccellini scappati

 

Benché spesso la delusione ci colga, c’è sempre e comunque un’alternativa.

uccellini scappati

 

Gli uccellini  meno male

si son fatti assai furbetti,

a al meschino cacciatore

non rimane che pensare.

 

Pensa pensa e nulla caccia

dentro l’umido capanno,

gli si sta gelando il naso

lì seduto sullo scranno.

 

Non è più come una volta

che bastava prender la mira,

anche avere un buon fucile

ormai è cosa assai puerile.

 

Dice: chi me lo fa fare

voglio a casa ritornare,

qui fa freddo! Me tapino

sono stufo di aspettare.

 

E si immagina lo spiedo

mentre guarda il suo paniere,

niente uccelli niente cena

ma ha già perso ormai la lena.

 

Scende lento dalla china

ed imbraccia il suo fucile,

niente uccelli pei ghiottoni?

Qualcos’altro si cucina.

  

Per 4 persone

Ingredienti: 20 fettina di lonza di maiale, 200 g di pancetta arrotolata tagliata sottile, aromi misti freschi: salvia, rosmarino, origano, pepe, sale, brodo di carne o vegetale, 2 cucchiai di marsala secco, 2 dl di vino bianco, olio di olica burro
Occorrenti: tegame o padella, batticarne, spago da cucina, forbici, tagliere, coltello

Lavate gli aromi e asciugateli. Battete le fette di lonza senza togliere il grasso (si scioglierà in cottura, donando morbidezza alla carne) e praticate dei piccoli tagli attorno. Mettete su ogni fetta di carne 2 fettine di pancetta e un po’ di aromi tagliati molto sottili. Salate e pepate leggermente. Arrotolate per formare degli involtini e chiudeteli  con lo spago da cucina o lo stecchino. Non esce nulla, poiché non è una farcitura morbida, ma è necessario affinché l’involtino mantenga la forma. Mettete nella padella 3 cucchiai di olio di oliva e 20 g di burro, adagiate gli involtini e rosolateli per circa 5 minuti, girandoli spesso. Sfumate prima con il marsala, poi con il vino bianco e fate evaporare. Completate con il brodo di carne caldo, o in alternativa mezzo dado e acqua bollente. Portate a cottura per un’ora, irrorando spesso gli involtini con il fondo. Serviteli ben caldi accompagnandoli con polenta e patate arrosto, o per completare un risotto alla parmigiana.

Buona Domenica a tutti!

Cambiamento lento: l’ananas candito

Non abbiate fretta: Il tempo per la canditura dell’ananas è un tempo lungo. Armatevi di pazienza: sono quindici giorni di tranquilla gestazione sulla quale non si discute; che non si anticipa, dentro cui si attende. Pochi passaggi  senza fatica, ma puntuali e fatti di cure amorevoli per portare a termine questa voluta metamorfosi, quasi sorprendente. Lento è il cambiamento e il risultato sarà un elogio alla calma e al suo buon uso.
Se pensate che portare pazienza non serva più in questa nostra età che corre, sappiate che questo tempo vi farà ricredere. Se siete stati più volte illusi dalle cure amorevoli, sappiate che questo non è il caso. Saprete amorevolmente attendere. Prenderete il giusto tempo. Apprezzerete i giusti passaggi, aspetterete senza noia.
Dopo tutto la vita è più simile a uno zampillio che ad un fiume veemente. Godetevi allora l’andamento lento di questa canditura e tutto ciò che ne deriverà.

ananas 7 Ingredienti: 2 ananas maturi ma ben sodi, zucchero, glucosio (facoltativo)

Occorrenti: vassoi non metallici o pirofile, griglia, paletta forata

Fase 1

Con un coltello affilato tagliate il fondo e la cima dell’ananas. Togliere la buccia e tagliatelo a fette spesse 1 cm.  Con un taglia-biscotti o con un coltellino togliete la parte interna fibrosa.

ananas 1

Fase 2

Pesate l’ananas e mettetelo in una casseruola con 3 dl di acqua ogni 500 g di frutto. Cuocetelo a fuoco medio per circa 15 minuti fino a che non si ammorbidisce. Prendete una pirofila da forno, non di acciaio, che possa contenere la griglia. Togliete le fette dalla casseruola con un mestolo forato e posatele sulla griglia. Fatele ben sgocciolare e conservate il liquido di cottura.

Fase 3

Calcolate per ogni 3 dl di liquido 175 g di zucchero semolato o 125 g di glucosio e 60 g di zucchero semolato. Aggiungete al liquido di cottura porre sul fuoco e mescolare per sciogliere bene.

Fase 4

Sistemate le fette di ananas nella pirofila, portate lo sciroppo ad ebollizione e versatelo sulle fette di ananas. Mettete sopra le fette un foglio di carta forno per mantenere la frutta bagnata. Lasciate riposare per 24 ore.

ananas 3

Fase 5

Mettete la griglia nel vassoio. Togliete la carta oleata dall’ananas e con la paletta forata, prendete le fette di ananas e mettete a sgocciolare sulla griglia. Versate lo sciroppo in un pentolino.

Fase 6

Aggiungete 60 g di zucchero semolato per ogni 3 dl di sciroppo, mescolate e portate ad ebollizione. Rimettete le fette di ananas nel vassoio e versatevi sopra lo sciroppo. Coprite con carta da forno e lasciate riposare per 24 ore.

Fase 7

Per 5 giorni di seguito ripetete le fasi 5 e 6. All’ottavo giorno aumentate la concentrazione dello sciroppo. Unire 90 g di zucchero semolato ogni 3 dl di sciroppo, mescolate portate ad ebollizione  versatelo sulle fette di ananas. Coprite le fette con carta da forno e fate riposare per 48 ore.

Fase 8

Al decimo giorno aggiungete di nuovo 90 g di zucchero semolato ogni 3 dl di liquido, mescolate portate ad ebollizione e versatelo sulle fette. Coprite con carta da forno e lasciate riposare per 4 giorni.

ananas 4

Fase 9

Al quattordicesimo giorno, togliete le fette dallo sciroppo con la paletta, operando delicatamente e posatele sulla griglia. Lasciate asciugare in luogo caldo e asciutto per 3 giorni.

ananas 5

L’ananas sarà pronto quanto non appiccicherà più. Tagliatelo a spicchi e servite. Si conserva per un tempo indefinito in recipienti non metallici a chiusura ermetica. Meglio separare le fettine con strati di carta da forno.

Con lo zucchero rimasto

Scaldate leggermente, unite poco sciroppo di limone* di limone e unite 2 parti di farina di mandorle. Mescolate e lasciate riposare coperto per un giorno. Trascorso il tempo prelevate l’impasto con un cucchiaino da tè,  formate delle palline poco più grandi di una nocciola e passatele nello zucchero semolato.

bon bon fondant ananas e mandorle

Buona giornata a tutti!

 

 

 

Gnocchi di polenta bianca allo speck croccante

C’è la polenta, ci sono gli gnocchi. Poi ci sono gli gnocchi di polenta, ma questa è un’altra storia: questa.
Di cucina si parla, si legge, si guarda. Ma, nonostante ciò, il dubbio aleggia. Il quesito si ripropone, puntuale come lo scorrere dei giorni, il susseguirsi dei mesi, il passare degli anni: che cosa cucino oggi?
E a niente è valso parlare leggere guardare, saltare da un blog all’altro, scoprirne di nuovi, se il frigorifero è una caverna piena-vuota di pochi tesori: burro, panna, uova. Se la dispensa ammucchia: farine forti, fortissime, deboli, prostrate; zuccheri d’ogni foggia e colore; lieviti più o meno potenti. Ma il meglio deve sempre accadere e la realtà è quasi sempre più bella del sogno. Quasi, oggi…
Mi sortisce un: io mi salverò, anche per questa tornata riuscirò a nutrire il mio piccolo pianeta.
Posso fare degli gnocchi alla romana. Certo, appetitosi! Ma non ho il semolino. Nel mucchio della farine non ce n’è traccia. Ahia!
Potrei fare una polenta taragna. Forse un po’ greve, ma come piatto unico può andare. Certo, sarebbe perfetta se non fosse che: mancano formaggi. Intravedo in un angolo il cartoccetto del formaggio morbido. Lui c’è.
Ed è per l’affascinante legge della compensazione, dell’eterno tendere all’equilibrio, o forse per quella piccola busta di speck, talmente sottile da non  rivelarsi, che mi metto all’opera.
Non sarà polenta: saranno gnocchi.
Non saranno gnocchi: sarà polenta.
Benché a ben vedere non siano né gli uni né l’altra, ma son tutti e due. Dunque, buona preparazione anche a voi. Ma ad una sola condizione: che abbiate ad avere quasi il nulla.

gnocchi di polenta bianca

Per 4 persone

Ingredienti: 1 lt di acqua, 250 g di farina bramata bianca, 250 g di formaggio cremoso, 100 g di speck, 50 g di grana grattugiato, 1 cucchiaio di olio, 5 g di sale,  un pizzico di zucchero
Occorrenti: piccolo paiolo antiaderente o risottiera, frusta, cucchiaio di legno, teglie, carta da forno, coppapasta rotondo, padella antiaderente

Tempo di preparazione: 60 minuti

Versate l’acqua nel paiolo e portatela all’ebollizione. Prima che arrivi a bollire unite il sale, il cucchiaio di olio e il pizzico di zucchero, poi versate la farina in un sol colpo, mescolate con la frusta e in seguito con il cucchiaio di legno. Lasciate cuocere per 35 minuti, mescolando spesso. Fuori dal fuoco unite il grana e il formaggio cremoso. Ungete la teglia con un cucchiaio d’olio e versate il composto livellandolo con il dorso di un cucchiaio leggermente bagnato. Raffreddatelo fino a che non si sarà rassodato. Coppate gli gnocchi e sistemateli nella teglia da cottura, uno sopra l’altro. Rimpastate i ritagli e coppate anche questi fino ad esaurimento del composto. Scaldate molto bene la padella antiaderente e arrostire lo speck fino a farlo diventare molto croccante. Spolverate gli gnocchi con poco grana, mettete qualche fiocchetto di burro e distribuite lo speck croccante sbriciolandolo con le mani. Infornate a 180° C per 20 minuti o fino a gratinatura.

Consigli: questo piatto, nonostante le premesse, si presta ad essere preparato con largo anticipo. Prima della gratinatura si conserva per 3 giorni in frigorifero, coperto con pellicola e 3 mesi in freezer. Per avere dei gnocchi ancora più saporiti potete cuocere la polenta in acqua miscelata ad una metà di latte. Inoltre si può variare il formaggio e la tipologia della farina da polenta. Sono ottimi con farina di polenta integrale o bramata gialla.

Pare che questo sarà il Lunedì più triste dell’anno, forse per la consapevolezza intrinseca del non avere giorni di vacanza a breve termine. Le feste sono finite da un po’, infatti. Attendiamone altre, pensando che c’è di molto peggio del più triste dei Lunedì.

Felice-triste Lunedì!

 

 

 

Polenta e Bacalà! Oilì oilà

Perché non mi ami più?
La ragazza di Parenzo (non è il nome di un giovane aitante, ma quello di un’amena località istriana) aveva messo su una piccola attività commerciale, nel cui ambito si poteva trovare di tutto, tranne il Bacalà. Perchè non mi ami più?
La tua fidanzata è “vecchia” e la tieni, ahimè, come un rimpiazzo fino a Settembre poi, dopo, non appena spunta l’erba la mandi a pascolare.  Perché non mi ami più?
La mandi a pascolare fino a Novembre e poi la ritiri promettendole che l’amore con le servette non lo farai mai più. A questo punto ti sorge nuovamente spontanea la domanda: perché non mi ami più’?
Se il mare fosse fatto di sugo e i monti di polenta, si potrebbe inzuppare all’infinito con questo ben di Dio… polenta e Bacalà! Oilì oilà. Perché non mi ami più.

bacalà alla vicentina

500 g di stoccafisso già ammollato (pronto), 250 g di cipolla dorata, 4 alici dissalate, 250 g di latte intero, 60 g di grana, sale, pepe, prezzemolo,250 g di olio di oliva extravergine

Sbucciate le cipolle e tagliatele sottili. Versare la metà dell’olio nella padella e mettere le cipolle a soffriggere, unite le alici e cuocete per almeno 10 minuti mescolando spesso. A fuoco spento unite un po’ di prezzemolo. Tagliate il Bacalà a pezzetti. Sciacquatelo sotto acqua ben fredda e asciugatelo, poi infarinatelo. Mettete in una casseruola parte del soffritto e il Bacalà infarinato. Fatelo rosolare, aggiungete il latte il grana e l’olio rimanente, il sale e il pepe. Cuocete per 2 ore abbondanti, su fuoco dolcissimo, scuotendo ogni tanto la casseruola e cercando di non mescolare. Servite ben caldo irrorandolo con il sugo e accompagnandolo con polenta, preferibilmente di farina bramata bianca.

Qualsiasi riferimento a fatti è puramente casuale e si riferisce piuttosto ad una metrica ben precisa voluta dalla fulgida immaginazione popolare. Riguardo a: baccalà scritto con una ci sola, io do la mia personale spiegazione: è impossibile in dialetto veneto pronunciare baccalà con due ci. Tuttavia pare che Bacalà sia per i vicentini, alla cui tradizione appartiene questa ricetta, lo stoccafisso, per distinguerlo nettamente da quello sotto sale. Ad altre, non meno efficaci intelligenze, dobbiamo invece il merito dello stoccafisso già ammollato che è una grande comodità.

Per altre informazioni sul baccalà, non soggette alla metrica, potete consultare https://mammachebuono.wordpress.com/2014/10/01/baccala-alla-biscaglina

 

Felice giornata!

 

Le caramelle di zucchero

Gaspare, Melchiorre, Baldassarre: già dai nomi sorgono pensieri fantasiosi su questi scienziati ricchi e ben vestiti, che recano doni preziosi quanto loro. E la befana? Lei non s’appella per nome. Lei è befana e punto, stop.
Se non l’avete capito, anche se nutro un debole per Baldassarre, io tifo Befana. Vuoi mai: anche solo  perché nella “befanitudine” ci son già dentro e quasi fino al collo…
Due parole allora su chi era l’innominata Befana e di come accadde che fu costretta ad essere befana e un po’ strega per l’eternità e di più.
La sera di un lontanissimo  cinque Gennaio la signora Cesira se ne stava tranquilla, intenta a preparar caramelle. Da qualche giorno girava di casa in casa la novella che era arrivato “quel bambino”. Da nonna tenerissima, ma di nessun nipote qual era, voleva portagli giocattoli e caramelle fatte in casa che sarebbero stati il suo dono.  Fuori faceva molto, molto freddo e le sue ossa ne risentivano, tanto che lavorava vicino ad una stufetta per riuscire a scaldarsi. Bussarono alla porta. Sola, timorosa e circospetta non apriva mai dopo le otto di sera. Ma non erano degli sconosciuti: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre le si pararono dinanzi, pieni di mercanzie, ben tenuti ed eleganti come al solito. Lei si guardò il grembiule e le ciabatte e li invitò ad entrare.
“No, non ci fermiamo” rispose Baldassarre “ stiamo andando dal bambinello, vieni anche tu?”
“Baldassarre! Come ti sei fatto vecchio! No. Io non posso, son qui a preparar caramelle da portargli in dono e devono asciugarsi. Ci andrò domani, ci andrò. E poi fa troppo freddo.” E i tre se ne andarono, senza aggiungere altro.Sì, insomma, Baldassarre avrebbe voluto replicare, ma avevano molta fretta.
La mattina del giorno dopo, assai di buonora, Cesira riempì il paniere di giocattolini e caramelle colorate. Arrivò ansimante alla capannuccia, ma non c’era più nessuno. Aspettò un pochino, in mezzo ai brividi per il freddo mattutino, poi dovette tornarsene sui suoi fiacchi passi, tristemente.
“Eccola lì, la ritardataria!” urlò bruscamente un angelo del Signore
“ Ehi! Biondino caro, biondino bello, chiedo venia: stavo aspettando che le mie caramelle si asciugassero. Dov’è andato Gesù. Dove sono tutti?”
“Capo primo: biondino lo dici a tuo fratello! Io sono un angelo del Signore. Secondo: non so di preciso… Cercateli! Da qualche parte saranno andati…Terzo: se io son bello e biondo, tu sei una Befana e anche un po’ strega”.
Ecco fatto! Da Cesira diventò befana e per sempre.
E fu così che: per aver sbagliato i tempi, forse per un eccesso di confidenza, per un accesso di irriverenza, per l’artrite e non so cos’altro, Cesira sta ancora girando a cercare Gesù, lasciando doni e caramelle buonissime. Ma è Befana, nei secoli dei secoli.
Si dice che qualcuno l’abbia sentita parlare da sola. Tra sé e sé non fa che ripetersi: è proprio tutta una questione di tempo. Nella vita è solo una faccenda di ritmo…
Dunque, ditemi un po’: come si fa a non tifare Befana?

ginevrine

 

Ingredienti: 320 g di zucchero semolato, 80 g di succo di frutta senza zucchero, 1 cucchiaino di succo di limone, coloranti alimentari facoltativi

Occorrenti: casseruola, sac a poche senza bocchetta o cucchiaino, carta da forno teglia

Mettete gli ingredienti nella casseruola e mescolate fino ad ottenere un composto morbido. Scaldatelo per 5 minuti su fuoco basso, senza farlo bollire. Formate subito le caramelle grandi quanto vi piace. Il composto si allargherà leggermente. Lasciate asciugare per qualche ora poi staccatele dalla carta forno. Il colorante alimentare non è indispensabile. Il mio rosa è stato ottenuto mettendo al posto dell’acqua un po’ di succo residuo della cottura a vapore della prugne rosse.
Le caramelle si conservano per molto tempo se ben chiuse e in ambiente fresco e secco.

Per tutti una buona giornata felice!

Mentre scrivevo questo post ho appreso della morte di un grandissimo della musica: Pino Daniele. Mi viene spontaneo dedicarglielo.